La strumentazione musicale dei Celti nell’Età del Ferro [Parte III: La Téne]

(La Téne prima metà del V° – prima metà del I° sec. a.C. circa)

La figura del bardo

Per tutto il periodo detto di La Téne i Celti continuarono a suonare certamente; gli ‘addetti ai lavori’ della musica erano i Bardi, dal gallico Bardos.

Molte sono le attestazioni letterarie di questi personaggi, spesso definiti poeti (così come i druidi sono definiti, dai greci, filosofi): il termine bardo compare nell’opera del grammatico narbonese Festo (34, 11), in quella di Lucano (BCiv. I, 449), in Timagene citato da Ammiano Marcellino (XV, 9, 8), in Diodoro Siculo (V, 31), da Posidonio (XXIII) da Ateneo (VI, 49), Strabone.
Diodoro Siculo li definisce propriamente ‘poeti lirici’ che accompagnano i loro canti (inni e satire) con la lira; per Strabone sono poeti e cantanti; Ammiano Marcellino (che riporta Timagene) dice che cantano accompagnati dalla lira le gesta degli uomini più illustri.

Sul canto degli uomini illustri ci informa anche Posidonio, Storie, XXIII:
‘Una volta che questo stesso principe (Luern) aveva dato un gran festino a data prefissata, un poeta di questi barbari arrivò troppo tardi. Egli dunque andò incontro a Luern con un canto in cui celebrava la sua grandezza ma deplorava nel contempo il ritardo di cui faceva ammenda. Divertitosi dei suoi versi, il principe domandò una borsa d’oro e la getto al poeta che correva al fianco del suo carro. Costui la raccolse e intonò un nuovo canto nel quale comparava le tracce lasciate dal carro del principe a dei solchi dove germinavano per gli uomini dell’oro e dei benefici’.

Oltre alle attestazioni letterarie, l’epigrafia restituisce antroponimi derivati dal termine bardo-: al genetivo patronimico Bardi (filius o filia), dall’Austria, dalla Germani e dall’Italia (Miseno); inoltre sono attestati anche dei toponimi, attestati per esempio nei pressi di Milano: Bardomagus, ovvero ‘campo del bardo’

CIL V, 5872
Metilio / f(ilio) Ouf(entina) / [M]essori / [c]ollegium / [iu]mentario[rIorum)] / Portae / [Ve]rcellinae / [e]t Ioviae / [b(ene)] m(erenti) / [lo]c(us) dat(us) / ab / [p]ossessoribus / [vi]ci Bardoma[g(i)]

CIL V, 5878
C(aio) Petronio Iucu[ndo] / VIvir(o) sen(iori) / Petronia Myrsile patrono / quae HS CCCC leg(avit) possessoribus / vici Bardomag(i)in herm(am) / tuend(am) et rosa quodannis / ornandam

Il termine bardo compone poi anche il nome di un particolare capo d’abbigliamento gallico, il bardocucullus, attestato in Marziale e Giovenale, che sta a significare ‘cappuccio del bardo’.

Marziale, XIV, 128:
Gallia Santonico vestit te bardocucullo.
Cercopithecorum paenula nuper erat.”
(La Gallia ti mette addosso il cappotto dei Santoni.
Poco fa era un mantelluccio da scimmioni.)
Marziale, I, 53:
Urbica Lingonicus Tyrianthina bardocucullus
Giovenale, III, 8:
Si, nocturnus adulter, Tempora Santonico velas adoperta cucullo.”
(O se di notte per le tue lascivie col cappuccio dei Sàntoni a celarlo ti copri il capo?)

Una volta parlato della figura del bardo, a livello archeologico chi è che suona nel mondo celtico, e quali sono le attestazioni materiali per il periodo laténiano?

Come già detto, in questo periodo le evidenze sono relativamente poche, ma ci sono. Però, a discapito di quanto farebbe credere la tradizione letteraria, è principalmente l’ambito militare a consegnarci strumenti musicali (corni e trombe da guerra) e quello numismatico, mentre rarissime sono i possibili riferimenti archeologici ai bardi. Per quanto concerne invece i reperti materiali (strumenti veri e propri), c’è davvero carenza al di là dell’ambito militare (i cosiddetti carnyx, trombe da guerra con testa zoomorfa).

I corni animali

Datata V° a.C. (ma ho trovato anche una datazione al IV), è questa statuetta in bronzo proveniente da Idria pri Baci (Slovenia), probabilmente equipaggiata secondo i modi hallstattiani e veneti dell’arte delle situle (certo ha in capo un elmo di tipo Negau, e l’abbigliamento con la tunica è effettivamente quello delle situle). 

Come si vede, l’uomo ha le mani nella posizione di reggere qualcosa. Infatti, nella ricostruzione, ha nella mano destra un corno da segnalazione e nella sinistra regge uno scudo di tipo oplitico (aspis, come è rappresentato nelle situle), e ha una lancia forse appoggiata al braccio, inserita nel buchetto che si può vedere.

Da Bormio (Valtellina) proviene la famosa stele con rappresentati due armati con insegne militari e scudi: uno di essi è nell’atto di suonare un corno.
La datazione di questo reperto è controversa e dibattuta tutt’oggi; qualcuno definisce la stele pertinente al V° sec. a.C. (elmo tipo negau, cornuto, come nel caso sloveno qui sopra), altri propendono per il I° a.C., ma con la volontà di rappresentare guerrieri di un’altra epoca.

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[ Articolo pubblicato il 08/10/09 e scritto da “Poetapunk” ]

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