Druidi, bardi e vati: i sapienti, gli intellettuali dei celti

Assai spesso si sente invocare un approccio ai celti, e ai druidi, capace di evitare le secche delle interpretazioni fantasiose ed arbitrarie, quel che si usa definire approccio filologicamente corretto. 
E allora, prendiamo in parola questa opzione metodologica, e partiamo dall’ABC. 

Che cosa significa Druida??? 
Se ne possono leggere di tutti i colori: sacerdoti, sciamani, maghi, ecc. ecc. 
Ma letteralmente che cosa significava, per gli antichi celti, questa parola? Sarà interessante scoprire che nessuno dei tre termini sumenzionati corrisponde esattamente al significato originario, il più vicino è l’ultimo, anche perchè i maghi erano un po gli scienziati dei tempi antichi. 

Plinio ci offre una prima etimologia, collegandola alla radice greca della parola quercia. Cosa non del tutto arbitraria, considerato che i celti dell’odierna Francia avevano intensi rapporti culturali e commerciali con i greci della vicina città greca di Massalia (l’odierna Marsiglia), e usavano l’alfabeto greco per scrivere. 

Dobbiamo ricordare qui la devozione che i Galli offrivano a questa pianta. I Druidi – è il nome che danno ai loro maghi – non hanno nulla di più sacro del vischio e dell’albero che lo porta, purché sia una quercia (rovere). Il rovere è già di per sé stesso l’albero che scelgono per i boschi sacri, e non compiono nessuna cerimonia religiosa senza il suo fogliame, sembra così probabile che i sacerdoti derivino il loro nome dalla parola greca che indica la quercia. 
PLINIO, Storia Naturale (Naturalis Historia XVI, 249-251) 

Ma partire da Plinio è sbagliato e fuorviante, perchè “il termine ‘druidi’ è caratteristico del mondo celtico e si può spiegare unicamente mediante le sole lingue celtiche, sulla base di elementi costitutivi e comparativi indoeuropei: la forma gallica druides (sing. *druis), utilizzata da Cesare nel De Bello Gallico, nonchè l’irlandese druid risalgono a un archetipo *dru-wid-es ‘sapientissimi’, contenente la medesima radice del latino videre ‘vedere’, del gotico witan, del tedesco wissen ‘sapere’ e del sanscrito veda. 
Nè si è rivelato arduo ravvisare l’omonimia, tipica del celtico, del nome della scienza e del legno (vidù)”
 (Le Roux-Guyonvarcìh, I druidi, 1986, ed. ita. 1990-2000 Ecig). 

Questo è il significato letterale, confermato poi dalla grande quantità di materie delle quali si occupavano questi sapienti. 

Sapienti, quindi, non sciamani, ne sacerdoti.. 
I druidi sono i sapientissimi, i sapienti che conoscono, vedono, albero della conoscenza. 

I druidi, i sapienti dei celti, nei classici

“I druidi normalmente non partecipano alle guerre né pagano tributi alla stregua degli altri. Sono esentati dal servizio militare e godono dell’immunità in ogni campo. Incitati da tanti privilegi, molti accorrono spontaneamente a farsi istruire, altri sono mandati dai genitori o dai parenti. Lì si dice che imparino un grande numero di versi, e perciò c’è chi rimane alla scuola anche per vent’anni. Non è ritenuto lecito affidare alla scrittura questi versi, mentre per tutto il resto, sia materia pubblica o privata, usano di solito l’alfabeto greco. Questa regola mi sembra sia derivata da due motivi: dal desiderio di non divulgare i loro insegnamenti, e perché gli apprendisti non trascurino la memoria fidando sull’uso delle lettere, il che capita quasi sempre ai più: col sostegno della scrittura si allenta l’applicazione nello studio e nell’esercizio mnemonico. In primo luogo essi cercano di creare questa convinzione, che le anime non periscono ma dopo la morte passano dall’uno all’altro; secondo loro è questo un grandissimo incitamento al valore, poiché elimina la paura di morire. Molto, inoltre, discutono fra loro sugli astri e sui loro movimenti, sulla grandezza dell’universo e della terra, sulla natura delle cose, sulla forza e sulla potenza degli dei immortali, e trasmettono tutte queste nozioni alla gioventù.” 
Cesare, De Bello Gallico, VI, 14 

“I druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica, a ciò spinti da Zalmoxis, lo schiavo di origine tracia appartenente a Pitagora, il quale Zalmoxis venne in quelle contrade dopo la morte di Pitagora e fornì loro l’occasione di studiarne il sistema filosofico. E i Celti ripongono fiducia nei loro druidi come veggenti e come profeti, poiché costoro possono predire certi avvenimenti grazie al calcolo e all’aritmetica dei Pitagorici. Non tralasceremo le origini della loro dottrina, dal momento che certuni hanno creduto di poter ravvisare diverse scuole filosofiche presso costoro. Effettivamente, i druidi praticano anche le arti plastiche.” 
Ippolito, Refutatio Omnium Hæresium, I, XXV 

“Nel suo libro sui simboli pitagorici Alessandro sostiene che Pitagora era allievo di Nazarato l’Assiro e pretende, inoltre, che Pitagora avesse ascoltato Galati e Brahmani. Nell’antichità la filosofia, scienza di somma utilità, è fiorita presso i barbari, diffondendo la sua luce sulle nazioni. In seguito essa arrivò in Grecia. Al primo posto stanno i profeti degli Egiziani, i Caldei presso gli Assiri e i druidi presso i Galli, i Samanei presso Battriani, i filosofi dei Celti e i magi dei Persiani.” 
Clemente Alessandrino, Stromateis, I, XV, 71,3sgg. 

“Raggiunto a poco a poco un notevole grado di civiltà, fiorirono in queste regioni gli studi letterari iniziati dai Bardi, dagli Euagi e dai Drisidi. I Bardi invero celebrarono in versi epici, accompagnati dalle dolci modulazioni della lira, le imprese gloriose degli uomini illustri, mentre gli Euagi osservavano i fenomeni celesti e cercavano di dedurne le leggi misteriose della natura. I Drisidi infine, superiori per ingegno ai precedenti, unitisi, secondo l’insegnamento di Pitagora, in fraterni sodalizi, si volsero alla speculazione di problemi occulti ed elevati e, con disprezzo delle cose terrene, proclamarono l’immortalità dell’anima.” 
Ammiano Marcellino, Storie, XV, 9, 2-8 

“In generale presso tutti i popoli gallici tre classi godono di onori eccezionali: i Bardi, i Vati e i Druidi. I bardi sono cantori sacri e poeti, i vati ricoprono le cariche religiose e praticano le scienze della natura, i druidi si consacrano alla parte morale della filosofia. Questi ultimi sono considerati i più giusti tra gli uomini e pertanto viene a loro affidato il compito di giudicare le controversie private e pubbliche. Un tempo dovevano anche fungere da arbitrali in caso di guerra e avevano la facoltà di fermare i combattenti nell’attimo in cui costoro di accingevano ad allinearsi per la battaglia, ma, soprattutto, si demandava loro il giudizio nei processi per omicidio. Quando costoro abbondano, si ritiene che ciò preannunci abbondanza per la loro patria. Affermano – e altri sono d’accordo – che le anime e l’universo siano imperituri, ma che un giorno fuoco e acqua prevarranno su di loro.” 
Strabone, Geographia, IV, 4

[Articolo pubblicato il 07/03/11 e scritto da Federico Gasparotti]

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