I poemi ed i racconti di questo ciclo trattano in particolare figura di Finn mac Cumhal, il cui figlio Oisin era guerriero e poeta e, per tradizione, autore di gran parte dei componimenti di questo ciclo.
Secoli dopo, un insegnante scozzese, James Macpherson (1736-1796), precursore del Romanticismo, affermò di aver scoperto alcune antiche poesie scritte da un bardo gaelico di nome Ossian (Oisin) e le pubblicò, in forma prosastica, dopo averle tradotte in inglese. In realtà Macpherson attinse molto del materiale dalla tradizione popolare inserendolo però in un ampio contesto narrativo da lui stesso creato. Le vicende narrate nel ciclo ossianico si riferiscono ai tempi del regno di Cormac mac Art, intorno al terzo secolo d.C., epoca in cui i Fianna, una sorta d’ordine cavalleresco ante litteram capitanato da Finn, raggiunse grandissima fama e gloria.

I racconti del ciclo dell’Ulster avevano come protagonisti uomini rudi, eroici, coraggiosi, votati al sacrificio, mentre nel ciclo ossianico l’attenzione è più rivolta all’elemento magico, al meraviglioso, al mistero, alla natura dolce e selvaggia. Il soprannaturale domina il racconto della vita di Oisin. Egli è il frutto dell’amore di Finn per Sabh, una fanciulla tramutata in cerbiatto da un incantesimo del perfido druido del Popolo Fatato, al quale ella non aveva voluto concedersi. Il ragazzo diviene un guerriero famoso e un poeta ancora più popolare, autore di racconti e canzoni tra le più celebrate in Irlanda. Un giorno, mentre cavalca col padre Finn, incontra una fanciulla di straordinaria bellezza di nome Niamh dalla Chioma d’Oro. Ella è la figlia del re della Terra della Giovinezza allontanatasi dalla sua dimora proprio per amore di Oisin. Il giovane, sedotto dalla bellezza di Niamh, la segue. Così Oisin, unico mortale, sposa Niamh, da cui ha due figli, e vive con loro nella Terra della Giovinezza per tre anni.
Trascorso questo periodo, colto dalla nostalgia, desidera tornare nella sua terra e rivedere i compagni. Niamh gli affida il suo magico cavallo bianco, ma gli raccomanda di non posare mai il piede per terra, altrimenti non potrà tornare nella Terra della Giovinezza. Nel mondo reale però non sono trascorsi tre anni, ma tre secoli, e nel frattempo tutto è mutato. Oisin trova solo un cumulo di rovine dove un tempo sorgeva la collina di Allen con i bastioni e le fortezze, non ritrova suo padre, né alcuno dei vecchi compagni. Sconvolto si allontana, deciso a liberarsi da quel terribile incantesimo. Sulla via del ritorno incontra alcuni contadini che stanno tentando di spostare un grosso macigno dai loro terreni, e si avvicina per chiedere informazioni riguardo Finn e i Fianna.
I contadini restano stupefatti nel vedere quel guerriero alto e possente, con gli occhi di un blu intenso, i capelli lucenti e i denti come perle. Mosso da pietà, Oisin vuole aiutarli a spostare il macigno, ma lo sforzo lo fa cadere da cavallo. Colui che i contadini vedono rialzarsi da terra non è più un uomo giovane e vigoroso, ma un vecchio fragile e decrepito, d’aspetto simile ad un mendicante: Oisin aveva trascorso più di trecento anni nella Terra della Giovinezza e ormai Finn e i suoi cavalieri erano morti da tempo.
Intanto in Irlanda è giunto San Patrizio a predicare il Cristo: i vecchi dei sono stati dimenticati per sempre. Con queste premesse, San Patrizio affronta l’ardua impresa di convertire Oisin e guidarlo al battesimo. Ma per ogni cosa che egli dice Oisin ha sempre una risposta pronta. Più volte Patrizio sollecita Oisin ad alzarsi e ad ascoltare i salmi, ma Oisin risponde: “lo non amo i tuoi chierici e la loro musica non è dolce come quella di Finn. Ho udito musiche che erano più melodiose delle tue, a dispetto delle tue lodi per i tuoi chierici. Il canto del merlo a Leiter Loi, il suono del corno, il dolcissimo verso del tordo nella Valle dell’Ombra, il rumore delle barche che urtano contro le sponde dei fiumi e il grido dei segugi sono per me più piacevoli dei rumori che si odono nelle tue scuole, o Patrizio. Il nano che era al seguito di Finn quando voleva eseguire melodie e canzoni ci sprofondava tutti in un sonno profondo. Persino i dodici segugi che appartenevano a Finn, appena venivano lasciati liberi lungo le sponde del Siuir, facevano sentire il loro latrato che era più dolce delle arpe e dei flauti. Il mio dolore è quello di essere vivo. I chierici che trascrivono messali non potranno mai andare d’accordo con me. Se Finn e i Fianna fossero in vita, lascerei i chierici e le campane, inseguirei i cervi nelle valli”. Oisin chiede continuamente a Patrizio di invocare la clemenza di Dio per Finn e i suoi Fianna, ma il santo si rifiuta, sostenendo che Finn aveva sempre anteposto i piaceri materiali a quelli spirituali.

Ai ripetuti rifiuti, Oisin chiede: “Che cosa fece mai Finn contro Dio, a parte incoraggiare i suoi poeti, guidare i suoi eserciti, distribuire oro nel corso di gran parte della sua vita e nei momenti di riposo, e mettere alla prova i suoi segugi? Egli aveva un cuore incapace di provare astio o invidia; il suo cuore s’induriva solo nel perseguire la vittoria. È un’ingiustizia che Dio sia riluttante a concedere cibo e ricchezze. Finn non rifiutò mai nulla né ai forti né ai deboli, eppure ora l’Inferno è la sua dimora”. Patrizio, adirato, risponde: “Taci, o vecchio, e metti da parte la tua stoltezza. Fai in modo che le tue imprese, da questo momento in poi, non abbiano più seguito. Pensa piuttosto alle sofferenze che ti attendono; i Fianna non esistono più, sono destinati a restare nell’Inferno e presto anche tu andrai a raggiungerli”. A queste parole Oisin prorompe in un grido di rabbia e di impotenza insieme: “Se io me ne vado, che tu non possa sopravvivere a me, o Patrizio dal cuore insensibile. Quanta malinconia provai nell’accettare il battesimo. Ne trassi pochi vantaggi poiché ora sono senza cibo e bevande e passo il tempo digiunando e pregando”. Patrizio cerca di spiegare perché i Fianna sono destinati all’Inferno: “Finn ebbe solo ciò che raccolse lungo le sponde dei fiumi e la selvaggina che riuscì ad uccidere sulle spoglie colline. Ma alla fine trovò l’inferno a causa della sua mancanza di fede. Egli è in catene nell’Inferno; proprio lui, l’uomo dalle gradevoli maniere che elargiva oro. Per scontare la sua mancanza di rispetto per Dio, egli è caduto nell’angoscia della Casa delle Pene, e nemmeno i sette battaglioni dei Fianna, se vi scendessero, sarebbero capaci di tirar fuori Finn, per quanto immensa possa essere la loro forza. Dio è grande e può fare in un giorno quello che tutti i Fianna d’Irlanda non fecero in una vita”. Oisin sempre più in preda all’orgoglio e all’impotenza, dice: “Sebbene ora io sia senza potere e la mia vita sia prossima alla fine, non infangare, o Patrizio, il nome dei grandi guerrieri, discendenti dagli dèi. Se avessi con me Conan, l’uomo che era solito denigrare i Fianna, anche lui verrebbe a spaccarti la testa mentre sei tra i tuoi chierici e i tuoi preti. Se fossero qui i miei amici, ripercorreremmo tutti i sentieri lungo i quali, un tempo, ci inoltrammo senza chiedere il permesso ai preti”. Patrizio a queste parole replica: “Tu ti sei perso proprio alla fine della tua vita, davanti al bivio tra la retta via e quella disonesta. Abbandona il sentiero della sofferenza e del peccato e gli angeli di Dio verranno a posarsi sul tuo capo. Inoltre smettila di denigrare i preti che stanno diffondendo la parola di Dio in ogni luogo. Se non smetti di parlare con tanta insolenza, dovrai patire fino alla fine grandi sofferenze. Voi non eravate altro che fumo di fascine, o acqua di torrente che scorre nella vallata, o mulinello di vento che spira sulla collina. Questo, e nient’altro furono le vostre tribù. Gioisci delle parole che ti rivolgo: sento con certezza che ti separerai dai Fianna e riceverai il Dio delle Stelle. Se tu conoscessi il popolo di Dio e lo spirito con cui esso si dispone ai banchetti, vedresti che ogni cosa buona è più copiosa per loro che per il popolo dei Fianna, nonostante il loro prestigio. Orsù fai atto di pentimento prima che giunga la tua fine. In una sola ora Dio sa essere migliore dell’intero esercito dei Fianna d’Irlanda”. Sempre più incredulo e incapace di comprendere, Oisin domanda: “Come può essere che Dio e i suoi sacerdoti siano migliori di Finn, il re dei Fianna, un uomo generoso incapace di essere disonesto? Se esistesse un luogo in cielo o sulla terra, migliore del Paradiso di Dio, è là che Finn meriterebbe di stare insieme a tutti quelli che fecero parte del suo esercito. Tu dici che un uomo generoso non scende mai nell’Inferno del dolore. Non ci fu un solo guerriero dei Fianna che non fosse generoso con gli altri. I Fianna non osavano dire falsità. Non abbiamo mai avuto la spudoratezza di dire bugie. Se i miei compagni fossero ancora vivi questa notte, non proverei piacere alcuno nell’ascoltare i tuoi canti a bassa voce in chiesa e il suono delle campane che mi ha assordato. Inoltre, o Patrizio, dove era il tuo Dio quando i nostri nemici vennero in Irlanda a portare morte e distruzione? Solo Finn e i suoi guerrieri, grazie al loro coraggio e alla loro forza, impedirono che si commettesero delitti e uccisioni di innocenti. Sarebbe una grande vergogna per Dio se egli non liberasse Finn dalle catene della sofferenza. Se fosse Dio in persona in catene, il mio Re combatterebbe per salvarlo. Finn non abbandonò mai nessuno nella sofferenza o nel pericolo senza liberarlo o riscattarlo con oro o argento. La mia storia è assai triste. Il suono della tua voce mi è sgradevole. Piangerò finché avrò lacrime, ma non per Dio, bensì per Finn e i Fianna che non vivono più”.
Da quel giorno Oisin, afflitto dal dolore per la morte dei suoi compagni, in preda alla tristezza e alla malinconia, ritiratosi in un luogo solitario, non fa che tessere le lodi dei tempi andati e di Finn, recitando lunghi lamenti. Uno degli ultimi è il seguente: “Vidi la stirpe di Finn; non era una stirpe dall’animo tollerante. Ieri ho avuto una visione di quell’eroe. Ho visto la stirpe del Re Supremo. Egli era insieme al proprio figlio dai capelli scuri e dalla voce melodiosa. Non vidi mai uomo migliore. L’ultima volta che vidi Finn fu una settimana fa. Non ho mai conosciuto uomo più coraggioso; egli era la mia legge, il mio consigliere, il mio buonsenso, la mia saggezza. Era principe e poeta, il più coraggioso di tutti i re, il Re dei Fianna, pronto a mostrare il suo coraggio ovunque andasse, energico nell’assolvere ai suoi compiti, giudice giusto e inflessibile. La sua pelle era candida come la calce, i suoi capelli avevano il colore dell’oro; le sue brocche erano colme di vino dal sapore aspro e forte. La stirpe di Finn era degna di lui; non conosceva né lamenti né lussuria né vanagloria né pettegolezzi. Finn non respinse mai nessun uomo e non cacciò mai nessuno dalla sua casa. Se le foglie gialle che cadono nei boschi fossero state d’oro, e se le onde spumeggianti fossero state d’argento, Finn le avrebbe date tutte in dono ai suoi ospiti. O Patrizio, se tu conoscessi la storia del merlo come la conosco io, piangeresti lacrime eterne e non daresti più ascolto, nemmeno per un attimo, al tuo Dio. Nella campagna di Lochlann, attraversata dagli azzurri torrenti, Finn trovò proprio quell’uccello che tu ora stai ascoltando e del quale ti racconterò la storia. Fu in un bosco che si trova ad occidente, e nel quale i Fianna usavano fermarsi a riposare, che essi liberarono il merlo perché andasse a posarsi sui suoi bellissimi alberi. Al tempo in cui vissero Finn e i Fianna era dolce per loro soffermarsi ad ascoltare il verso del merlo. In seguito, invece, a loro non sarebbe stato gradito il suono delle campane. O Patrizio, quel giorno provai tutta la gioia che mai proverò quando ascolto i tuoi lamenti di chiesa. Questa notte le mie mani sono prive della loro forza; non c’è più energia dentro di me. Non c’è da stupirsi se mi sento triste, perché sono ormai precipitato nella vecchiaia. Qualunque cosa mi provoca una sofferenza che è sconosciuta agli altri uomini della terra; soffro soprattutto nel dover trascinare pietre alla chiesa e alla collina dei preti. Le forze mi hanno abbandonato, hanno abbandonato me che ero il consigliere dei Fianna. Le mie membra sono stanche questa notte, stanche sono le mie mani e i miei piedi, stanca è la mia testa. È terribile seguire lo stesso destino di Finn e dei Fianna; da quando egli non c’è più, tutto il bene ormai è sparito alle mie spalle. Non esistono più uomini di valore, non esiste più uno spirito nobile. Com’è triste la mia esistenza dopo la morte del nostro re. Mi sento come un albero tremante che ha perso tutte le foglie, un guscio di noce senza frutto, un cavallo senza briglie, un uomo senza più dimora. Eppure io sono Oisin, figlio di Finn. È tutta la notte che le nubi gravano su di me, e l’altra notte fu assai lunga. Non era questo il mio stile di vita, senza duelli e senza battaglie, senza fanciulle, senza musica e arpe, senza crescita del sapere, senza generosità e senza battute di caccia, che erano le mie occupazioni preferite. La loro mancanza mi rattrista. Non è più vita non partire per compiere atti di coraggio, come eravamo soliti fare, non giocare più come facevamo quando ne avevamo voglia e non vedere più i nostri guerrieri nuotare nel lago. È tutta la notte che le nubi gravano su di me. Non c’è nessuno al mondo che viva nelle condizioni in cui mi trovo io. Oh, come è infelice la mia esistenza, non sono altro che un vecchio costretto a trascinare pietre. Sono l’ultimo dei Fianna; sono il grande Oisin, figlio di Finn, e ora ascolto solo il suono delle campane. È tutta la notte che le nubi gravano su di me”
Con queste parole cariche di disperazione, malinconia e nostalgia, con l’animo rivolto a quello che era stata la sua gente e il suo mondo, un tempo felice, ed ora irrimediabilmente perduto, si spegne l’ultimo dei Fianna, e con lui tutta un’epoca.
[ Articolo pubblicato il 01/04/06 e scritto da “Beith” ]