“Quali nuove dalla città d’Ys?
Poiché la gioventù è tanto folle,
poiché io sento il suono delle cornamuse,
delle bombarde e delle arpe.
Nulla di nuovo accade ad Ys,
soltanto baldoria tutti i giorni,
null’altro ad Ys che le vecchie cose,
e gozzoviglie tutte le notti
I portoni delle chiese
sono ormai sbarrati dai rovi
E contro i poveri che piangono
vengono aizzati i cani.
Ahés, la figlia di Re Gradlon
col fuoco d’inferno nel suo cuore
Lei, che primeggia nel vizio,
conduce la città alla perdizione
Il santo Gwenolé, con la pena nel cuore
molte volte ha visitato suo padre
con compassione l’uomo di Dio
ha messo in guardia il Re:
“Gradlon, Gradlon, prestate attenzione
alla vita dissoluta che conduce Ahès
poiché saremo alla fine dei tempi
quando Dio scatenerà la Sua collera”
Ed il buon Re, contrariato
la figlia ha ammonito,
ma reso debole dalla vecchiaia
non ha più la forza di opporsi a lei
Stanca dei rimproveri del padre
e per sottrarsi al suo sguardo,
con l’aiuto degli spiriti maligni ella ha eretto
uno splendido palazzo presso le chiuse
Là, con i suoi amanti,
trascorre le sere di peccato,
Là, fra l’oro e le perle,
come il sole Ahès risplende”
In queste parole della ballata “Gwerz Kêr Is” – a mio avviso una delle più evocative del repertorio bretone, splendidamente interpretata, fra gli altri, da Alan Stivell e da Yann-Fanch Kemener – si narra la cupa vicenda della città di Ys, la mitica capitale del regno di Gradlon che la tradizione vuole essere stata sprofondata da Dio nel fondo dell’oceano per i peccati dei suoi abitanti.

La città, che si dice sorgesse nei pressi della baia di Douarnenez, godeva fama di essere la più potente e ricca del Paese. Il terreno su cui sorgeva era stato strappato al mare grazie ad un sistema di chiuse, la cui chiave era posseduta solo dal sovrano, Gradlon, che si può forse identificare in quel Gradlon che venne incoronato re di Cornovaglia nel 338 e la cui statua a cavallo ancora è visibile fra le guglie della cattedrale di Quimper.
La figlia di questi, Ahès o Dahout secondo altre fonti, bellissima ma dal cuore nero, era dedita a stravizi d’ogni genere, e per vincolare a sé i suoi molti amanti e condurli alla perdizione non esitava a far ricorso alle arti magiche (alcune varianti della leggenda la vogliono figlia di una potente maga, Malgwenna, cui era stato legato Gradlon prima della sua conversione alla religione cristiana).Con il passare del tempo sotto l’influenza di Ahès la città intera sprofonda sempre più nel peccato e nella corruzione, e a nulla valgono gli ammonimenti di Gwenolé, un venerabile monaco che tenta con le sue prediche di mettere in guardia la popolazione. Lo stesso re, puro nell’animo ma reso debole dagli anni e accecato dall’amore per la figlia, sembra non rendersi conto dello stato in cui versa il suo regno, o voler chiudere gli occhi di fronte alla crescente dissoluzione. Finchè un giorno giunge nella città un giovane cavaliere da un Paese lontano: la principessa, che fino a quel momento si era presa gioco degli uomini che avevano perso la testa per lei, facendoli uccidere non appena se ne stancava, si innamora perdutamente dello straniero, fino al punto di farsi convincere a sottrarre con l’inganno al padre le chiavi che aprono le porte della diga, chiavi che Gradlon porta ad una catena intorno al collo. Il cavaliere convince Ahès che con questo stratagemma potranno fuggire attraverso il mare, dal momento che che il padre di lei è nettamente contrario alla loro relazione. Ahès cade nella trappola, ed a questo punto l’inganno si fa palese: lo straniero altri non è se non il Demonio in persona, cui Dio ha permesso di sommergere con le acque, ed infine sprofondare la città e tutti i suoi abitanti, per punirli dei peccati commessi. Gwenolé, a cui solo è stato concesso di poter scampare al disastro, corre dal re nella notte mentre il mare inizia ad invadere la città, lo sveglia e lo incita a fuggire per mettersi in salvo.

Gradlon porta con sé la figlia, della cui innocenza è ancora convinto, finchè le onde non li raggiungono: il re non può più negare a se stesso che la causa della rovina è proprio Ahès, perciò disarciona da cavallo la giovane ormai dannata, ed ella si perde fra i flutti. Tuttavia, il mito vuole che non muoia ma si trasformi in una sirena, ed ancor oggi con il suo canto sia in grado di trascinare alla perdizione chi ha la sventura di incontrarla.

Il re si potrà salvare, e fonderà la città di Quimper. Ys è ormai coperta dalle acque: potrà riemergere solo il giorno in cui verrà celebrata una messa nella cattedrale sommersa. Sempre secondo le leggende, pare che dopo la sua distruzione gli abitanti di Lutezia abbiano cambiato il nome dello loro città in Par-Ys (“simile ad Ys”), ma la città – naturalmente l’attuale Parigi – non abbia mai eguagliato lo splendore di quella cui ha preso il nome. Si dice che quando il mare è particolarmente limpido si possa intravedere sotto il pelo dell’acqua ciò che resta delle possenti torri d’Ys, ed i pescatori di Douarnenez sostengono che, tendendo l’orecchio, sia ancora possibile di quando in quando sentire i flebili rintocchi della campana, che ancora suona nel campanile più alto della città perduta. La leggenda si è tramandata in forma orale per secoli, finchè nel 1839 il letterato e ricercatore armoricano Théodore Hersart de La Villemarqué non lo raccolse e pubblico, insieme a molti altri, nella sua opera “Le Barzaz Breiz, chants populaires de la Bretagne”. Un’altra fonte scritta in cui rimangono tracce della tragica sorte di Ys, anche se meno dettagliate, è un läi medioevale, e viene fatto notare come alcune strade risalenti al periodo dell’invasione romana ancora puntino verso il mare, in un’area in cui apparentemente non sorge nulla.

Da questa leggenda, oltre alla ballata popolare, altre due opere musicali hanno tratto ispirazione: una di queste è l’opera in tre atti “Le Roi d’Ys” (il Re di Ys), composta da Edouard Lalo nel 1888, l’altra il poema sinfonico di Claude Debussy “La Cathédrale engloutie” (La Cattedrale Sommersa), pubblicato nel 1910.
[Articolo pubblicato il 30/07/06 e scritto da Paola Brancato “fenrir”]