1 – Dalla lingua ai popoli
2 – Il problema delle origini
3 – Ipotesi sulle origini
4 – Il quadro complessivo alla luce dei dati etnici e linguistici
5 – Aspetti culturali non linguistici e relative comparazioni linguistiche
6 – Classificazione delle lingue Indoeuropee
7 – Cronologia
8 – Riferimenti

4 – Il quadro complessivo alla luce dei dati etnici e linguistici
Dunque, il punto d’origine della diaspora indoeuropea pare debba essere collocato intorno al 5000 a.C. nella regione del Ponto nord orientale e l’espansione di queste popolazioni sarebbe da ricondurre in primo luogo al nomadismo proprio di quelle tribù indoeuropee, prevalentemente dedite alla pastorizia. Esse avevano contatti con le comunità agricole stanziali sia indoeuropee che non indoeuropee e per motivazioni implicitamente connesse all’attività pastorale, si diffusero gradualmente in tutto il bassopiano sarmatico e successivamente nell’area tra il Mar Caspio e il Lago d’Aral. In seconda istanza è altrettanto probabile che situazioni di conflitto verificatesi in seguito a fasi di espansione demografica abbiano accentuato il peso di tali movimenti.
Per cui, almeno in origine, la presenza indoeuropea in Europa e in Asia Centrale si realizza per diffusione più che per espansione militare, espressa come onda di avanzamento sulla base dei percorsi della pastorizia nomade. Secondo questo modello le prime aree Indoeuropeizzate sono definibili come zone di competenza diretta della Urheimat.
4.1 – Le caratteristiche della lingua indoeuropea
La fase più arcaica dell’indoeuropeo appare essere di gran lunga antecedente l’ultima fase unitaria precedendola probabilmente anche per più di un millennio e collocandosi intorno al 6000 a.C. Dunque coerentemente evidenzia peculiari caratteristiche di tipo fonetico, morfosintattico nominale e morfosintattico verbale.
In relazione alla fonetica, presenta due laringali: colpo di glottide e fricativa laringale sorda *h nonché consonanti glottidalizzate.
Per quanto riguarda la morfosintassi nominale che è caratteristica delle lingue agglutinanti [1] e priva di declinazione con vocale tematica vi sono varie tesi:
Nella prima, definita con la lettera “A”, vengono indicati i casi assolutivo ed ergativo detto “indeuropeo ergativo”, possessivo, dativo, oltre ad una serie non molto ampia di casi locativi: allativo, locativo, ablativo, forse direttivo, anche se le ipotesi in merito non sono concordi e allo stesso modo non è da tutti condivisa l’idea di un “protoindoeuropeo ergativo”. In tale ipotesi non si rileva alcuna originaria distinzione di genere.
Nella seconda, indicata dalla lettera “B” e un po’ più controversa, si suppone un caso agentivo, o caso “del soggetto agente”, uno detto inagentivo, o caso “del complemento oggetto” e “del soggetto della frase passiva”, più i casi locativi oltre a nessuna originaria distinzione di genere.
Nella tesi “C”, che è quella tradizionale e prevalente in molti ambienti accademici, si propone l’indoeuropeo come lingua accusativa sin dall’inizio.
In merito alla morfosintassi verbale, per cui la coniugazione è ottenuta con l’agglutinazione di pronomi e avverbi alla radice verbale, nell’Indoeuropeo il verbo presenta due tempi, presente e passato.
Esso non possiede vocale tematica e manifesta tre forme, attiva, media e stativa, sebbene quest’ultima ipotesi sia ampiamente messa in discussione.
Con buona probabilità presenta come modi di base solo l’indicativo e l’imperativo, insieme ad una serie di forme verbali derivate, con suffissi sistematici e semisistematici, che sarebbero all’origine delle successive distinzioni di tempo e aspetto verbale.
Queste sono le caratteristiche della forma più arcaica di protoindoeuropeo che si evolve nel tardo indoeuropeo comune, termine che si rifà alla definizione tedesca di “spätindogermanisch”, denominazione tuttora in uso nella letteratura scientifica di ambito germanofono ad indicare la protolingua dalla cui evoluzione avranno origine le lingue appartenenti alla gruppo delle lingue germaniche.
Le caratteristiche del tardo indoeuropeo comune, che si fa risalire a circa il 5000 a.C., nei confronti del protoindoeuropeo o indoeuropeo arcaico, termini a loro volta originati dal confronto con i tedeschi “urindogermanisch” o “fruhindogermanisch”, sono, sul piano fonologico, la presenza di una sola laringale *h, evoluzione del sistema di occlusive con la creazione di un sistema a quattro membri: occlusiva sorda non aspirata (*t) occlusiva sorda aspirata (*th), occlusiva sonora non aspirata (*d) e occlusiva sonora aspirata (*dh) nonché sparizione del colpo di glottide e delle glottidali.
Dal punto di vista morfosintattico, una trasformazione tipologica, ovvero, l’indoeuropeo diventa lingua flessiva. La trasformazione della lingua originaria ergativa in accusativa, con la serie di casi già visti e la comparsa del numero duale a partire dall’estensione della declinazione dell’aggettivo: *(am)bhō, “entrambi“, confrontabile con il greco ἄμφω, “amphō”, il latino ambō e l’inglese “both”.
I plurali dei termini indicanti coppie: *okwje, “i due occhi” come per il greco ὄσσε, “osse”, “otte”. La comparsa del sistema verbale a quattro tempi tramite la creazione, sul tema del presente, dell‘imperfetto in opposizione all’aoristo, con la comparsa di forme difettive e suppletive per i verbi più arcaici e cristallizzati, come *esmi, “essere”, *eimi, “andare”, *edmi, “mangiare”, *bhāmi e *āmi, “parlare”. La trasformazione dello stativo in perfetto con la ridefinizione di tutto il sistema di coniugazione in termini di aspetto verbale e con l’opposizione presente-aoristo-perfetto, nel senso di durativo-momentaneo-resultativo. Un embrionale sviluppo di forme di tempo futuro e, infine, l’aggregazione sistematica al sistema verbale di elementi nominali deverbali quali i participi e forse anche l’infinito.
La fase più tarda dell’indoeuropeo comune sembra inoltre presentare alcune varianti diatopiche, come ad esempio la presenza dell’elemento *-m- al posto di *-bh- nelle forme dello strumentale, del dativo e dell’ablativo. Le forme in -m-prevalgono poi nello slavo e nel germanico.
Tra l’ultima fase tardo-unitaria del 5000 a.C. e il distacco del ramo anatolico e forse della linea che porta al tocario, posteriore al 4000 a.C., si delineano, nell’area di lingua indoeuropea, una serie di fenomeni linguistici detti varianti diatopiche, che preludono a caratteristiche delle famiglie storicamente attestate, senza che peraltro queste possano intendersi come già prefigurate nei loro tratti essenziali.
Un momento essenziale dell’espansione degli Indoeuropei sembra essere quello da porre in relazione alla crisi della civiltà danubiana rilevabile intorno al 4000 a.C. Si trattava di una civiltà neolitica caratterizzata dal culto di una dea madre e da una forma di scrittura anteriore anche a quella cuneiforme sumerica, nota come “Danube script”. Secondo molti potrebbe risultare la più antica forma di scrittura, sebbene questa sia un’ipotesi ancora molto dibattuta. Il collasso della civiltà neolitica danubiana determina l’avvento della civiltà kurganizzata di Cernavoda, la cui comparsa potrebbe essere in relazione, almeno in un primo momento, con la comparsa nell’area di quegli Indoeuropei da cui prende origine la famiglia anatolica, che è anche la più antica avente caratteristiche proprie e della quale l’esponente più noto è la lingua Ittita.
Sembrano infatti esserci consistenti analogie fra la cultura di Cernavoda e i più antichi strati archeologici nella zona pertinente al sito di Troia.
La famiglia anatolica si differenzia precocemente e, a partire dal 3500 a.C., si espande rapidamente nell’area a ridosso del Mar di Marmara dando origine con molta probabilità a due rami.
Uno di questi interessa la Grecia, e caratterizza le fasi più arcaiche della Civiltà Elladica, quella che impropriamente ma comunemente viene detta “Micenea”. Sulla base delle analisi linguistiche effettuate su toponimi dell Grecia e di alcuni prestiti linguistici di sostrato del greco, si identificano fino a quattro sostrati Indoeuropei pre-ellenici, ciascuno con proprie caratteristiche, al punto da lasciare supporre l’esistenza di altrettante sottofamiglie indoeuropee non anatoliche delle quali nulla ci è noto.
Il secondo ramo interessa i territori anatolici e compare nelle documentazioni a partire dal 2000 a.C., e relativamente all’età del ferro ne sono i principali componenti lingue quali l’Ittita, il Palaico, il Luvio, il Lidio ed il Frigio.
Un’altra ipotesi prevede che che gli Ittiti siano penetrati in Anatolia muovendo dal Caucaso. In tal caso la situazione descritta andrebbe radicalmente riconsiderata.
Una delle motivazione per le quali si giunge a collegare le popolazioni che daranno origine alla civiltà Ittita con l’area caucasica riguarda in particolare la presenza in questa lingua di casi locativi, come il direttivo, non universalmente comune nelle lingue l’indoeuropee, casi che sembrano composti più da suffissi e posposizioni che da vere desinenze, particolare che si osserva in alcune lingue caucasiche.
Ciononostante, l’apparente contiguità dell’Ittita con antiche lingue caucasiche note o presunte in età storica, principale argomento a favore di una discesa in Anatolia a partire dal Caucaso, circostanza che presupporrebbe un contatto fra lingue caucasiche e lingua ittita in età preistorica, sembra essere alquanto debole
I caratteri linguistici dell’Ittita e delle lingue appartenenti alla famiglia anatolica in generale sono, sul piano fonetico, una sorta di rotazione consonantica che somiglia, anche se molto alla lontana, a quella propria delle lingue germaniche. Dal punto di vista morfosintattico, una declinazione nominale a due generi, sebbene nel Licio ne fossero presenti addirittura tre. Ciò è evidente nello stesso Ittita, in relazione agli antroponimi femminili.
Inoltre, sono presenti nove casi, nominativo, accusativo, vocativo, genitivo, ablativo, locativo, dativo, direttivo, strumentale oltre ad un affisso ergativo per i neutri, che si riducono a sette nell’ittita più recente e nelle lingue anatoliche continuate nell’età del ferro
E, ancora, queste lingue sono caratterizzate dalla presenza di due numeri, singolare e plurale, più nominativi e accusativi collettivi, dalla flessione verbale a due coniugazioni: la prima in –mi e l’altra in –hi .
Il verbo ittita ha due tempi, presente e passato e suggerisce indizi dell’antica presenza del perfetto. Inoltre due modi, indicativo e imperativo, che diventano tre se prendiamo in considerazione il voluntativo, ovvero, un imperativo delle prime persone che potrebbe quanto resta di modi differenti cristallizzatisi come forme esortative. Presentano due forme, attiva e mediopassiva, con le peculiari desinenze in –r oltre a trace di desinenze del perfetto con valore di stativo.
Per quanto riguarda le le lingue sostratiche indoeuropee pre-elleniche ipotizzate per i territori della Grecia mostrano caratteristiche varie. Ad esempio, alcuni nomi di luoghi, di piante ed oggetti nel greco antico presentano caratteristiche terminazioni in –ssos e –nthos, poi giunte nelle varanti del greco storico nelle forme –σσος poi eventualmente –ξος e –νϑος. La decifrazione dei testi ittiti ha fornito l’opportunità di attribuire l’origine anatolica a questi suffissi.
Certi toponimi mostrano perfette corrispondenze tra il territorio ellenico e quello anatolico. Ad esempio Παρνασσός, “Parnassòs“ corrisponde a “Parnasshash“. Da ciò si evince che una delle lingue sostratiche del greco arcaico doveva essere una lingua di famiglia anatolica. È proprio a causa della frequenza a Creta di nomi di questo genere, come Κνοσσός, “Knossòs”, Αμνίσός, “Amnisòs“ e Λαβύρινθος, “Labyrinthos“, che Vladimir Ili’v Georgiev ritenne che la stessa lingua di Creta, scritta nei documenti in lineare A, potesse essere una lingua del gruppo anatolico.
Sempre Georgiev condusse ulteriori studi in relazione ad alcune parole del greco arcaico che potevano essere ricondotte all’indoeuropeo ipotizzando mutamenti fonetici la cui meccanica non è rilevabile in altre famiglie.
I risultati di Georgiev risultarono estremamente positivi. Riuscì infatti a ricondurre la parola πύργος, “pyrgos”, “torre”, della quale in precedenza il significato era incerto, alla radice indoeuropea *bhrgh, “elevato”, rilevando il fenomeno della dissimilazione delle consonanti aspirate in sillabe contigue. A causa di tale fenomeno da *bhrgh deriva *brgh e ancora, con una rotazione consonantica riscontrabile nella lingua armena, da *brgh si giunge a *prg. Per terminare con la trasformazione della *r sonantica in *ur, per cui si ottiene *purg–.
Allo stesso modo Georgiev poté risalire all’etimo di *tymbos, “tomba”, a partire dalla radice *dhmbh, dal significato di “scavare”, “traforare”, “danneggiare”, la stessa del greco τάφος, “taphos”, “tomba”.
Comprese altresì che, poiché dalla medesima forma radicale di sostrato deriva anche il verbo ατεμβω, “atembo”, “danneggiare”, questa lingua di sostrato doveva presentare il fenomeno dell’apofonia. In base ai mutamenti rilevati da Georgiev, da *tam–, “casa”, derivata dalla radice indoeuropea *dom– , ha origine *tamia(s), “domestica”, così come *pyndax, “fondo di stoviglia”, proviene da *bhundh, che in greco diviene πυθμἠν, “pythmen”, “fondo” e in latino fundus con il medesimo significato.
Quindi è senz’altro necessario introdurre accanto al dialetto anatolico-egeo una serie di nuove isoglosse [2], che identificano una lingua o, più probabilmente, un gruppo di ignoti dialetti Indoeuropei pregreci che Georgiev chiamò “pelasgico” e che consentono di svelare l’origine indoeuropea di molti termini precedentemente considerati originati di un ipotetico sostrato mediterraneo. Il pelasgico ha le caratteristiche di una lingua satem [3].
La scoperta del pelasgico e le sue conseguenze forniscono un’immagine di quanto sia complesso il lavoro nella determinazione della vera origine delle famiglie indoeuropee oggi note. Un approfondimento ulteriore è pervenuto dal rilevamento di almeno un ulteriore strato linguistico da parte di Weriand Merlinger che lo stesso chiamò “greco psi”.
Secondo Merlinger il greco ψ, “psi”, presenta una serie di specifici mutamenti fonetici: p, t e k si trasformano in ps, da cui il nome greco “psi”. Mentre s, ks, b, d e g, si trasformano in ph, th, kh, bh, dh, gh ed evolvono in b, d e g. In questo modo si spiegano termini come ξάνθος o ξάντος, “xanthos”, “chiaro”, “biondo”, “giallo”, dalla radice *kad, come in κάστορ, “kastor”, “il luminoso” e nel latino candidus), e ὄξυς, “oxys”, “acuto”, dalla radice *ak, inoltre l’affinità fra il greco θεός, “theòs”, da altri invece fatto risalire all’ indoeuropeo *dhesos, “spirito”, e il latino deus, ma paritcolarmente forme duplici come avviene nel caso arcinoto di ἄνθροπος, “ànthropos” e ἄνερ, άνδρός, “anèr, andròs”, “uomo”.
Infine Milan Budimir, ancora prima di Georgiev, individuò in forme come σαρμός, “sarmòs”, “caldo”, dall’indoeuropeo *ghwermòs, (vale ricordare l’inglese “warm”) e σεργός, “sergòs”, “cervo”, dall’indoeuropeo *kerwòs, la presenza di un’altra lingua sostratica indoeuropea preellenica che definì “pelastica”. Dunque l’avanzamento degli Indoeuropei nei Balcani ad iniziare dal 4000 a.C. avrebbe condotto alla presenza di cinque distinte fasi di Indoeuropeizzazione, delle quali la lingua greca di età micenea sarebbe solo l’ultima oltre che la meglio attestata.
NOTE
[1] Una lingua è detta agglutinante quando forma le proprie parole per mezzo dell’unione di più morfemi. Il termine deriva dal verbo latino agglutinare, “incollare insieme“.
Nelle lingue agglutinanti le parole sono costituite dalla sola radice, alla quale vengono aggiunti prefissi o suffissi per esprimere categorie grammaticali diverse, genere, numero, caso o tempo verbale, e i morfemi sono espressi da affissi e non da mutazioni della radice o cambiamenti in forza o tono. Inoltre in una lingua agglutinante gli affissi non vengono mai fusi con altri e non cambiano forma in base alla presenza di altri affissi. Una lingua fortemente agglutinante è il finlandese: kirja = “libro”, kirjani = “il mio libro”, kirjassa = “nel libro”, kirjassani = “nel mio libro”, kirjassanikin = “anche nel mio libro”.
Le lingue sintetiche non agglutinanti sono dette fusive poiché combinano insieme affissi da “compressione”, modificandoli in modo determinante per giungere all’unione di parecchi significati in un solo affisso. Nell’Italiano, un solo breve suffisso verbale può indicare il tempo, il modo, la persona ed il numero.
[2] Con il termine di isoglossa, dal greco ἴσος, “uguale” e γλῶσσα “lingua” si definisce una linea che tracciata su una carta geografica delimita una porzione di territorio avente un tratto linguistico comune, sia esso lessicale, fonetico, e in questo caso è utilizzato anche il termine specifico isofona, sintattico o morfologico. Nell’ambito della linguistica si definisce per estensione in tal modo anche il tratto linguistico comune alla popolazione inclusa nell’area definita.
[3] L’isoglossa centum–satem spiega l’evoluzione delle tre serie di dorsali ricostruite per il protoindoeuropeo, *kw, *gw e *gwh, le occlusive labiovelari, *k, *g e *gh, le occlusive velari, e *ḱ, *ǵ e *ǵh, le occlusive palatoalveolari nelle lingue discndenti. Una divisione in lingue centum e satem ha senso solo con una visione della lingua madre con il completo inventario di dorsali. Cambiamenti fonetici successivi in uno specifico ramo delle lingue indoeuropee che sono simili ad uno di questi cambiamenti, come la palatalizzazione della k in latino in s in alcune lingue romanze o la fusione di *kw con *k nelle lingue goideliche, non hanno effetto sul raggruppamento.
Il nome centum deriva dalla parola latina centum, il numero “100”, da *ḱṃtóm, che illustra la fusione di *k e *ḱ, confrontabile con il sanscrito śata– o il russo sto, nei quali *ḱ muta in fricativa. Alcuni esempi di questo fenomeno nelle lingue centum sono l’inglese hund(red)– e il tedesco hundert, con h da una precedente *k, per rotazione consonantica giustificata dalla legge di Rask-Grimm e dalla successiva di Verner, inoltre il greco (ὲ)κατόν “(he)katon”, il gallese cant, tra gli altri. Anche il termine albanese qind è un prestito dal latino centum. Il termine satem è il vocabolo corrispondente nelle lingue che a appartengono questo gruppo.
Nelle lingue centum le consonanti palatovelari si sono fuse con le velari, *k, *g, *gh.
La maggior parte delle lingue centum preserva le labiovelari proto-indoeuropee, *kw, *gw, *gwh, o gli esiti linguistici distinti dalle velari. Ad esempio, *k, *kw > latino c, k, e qu, kw, κ, k, con π, p o τ, t in greco prima delle vocali iniziali, h, hw nel gotico ecc.
Le lingue satem presentano il caratteristico cambiamento delle palatoalveolari protoindoeuropee *ḱ, *ǵ e *ǵh in consonanti affricate e fricative, articolate nello spazio anteriore della bocca. Ad esempio *ḱ mutano in ś nel sanscrito, s in lettone, avestico, russo ed armeno, š in lituano, e th nell’albanese. Contemporaneamente le velari *k, *g, *gh e le labiovelari *kw, *gw, *gwh originali si sono fuse insieme in un solo esito velare, cioè le labiovelari hanno perduto l’arrotondamento labiale.
[ Articolo pubblicato il 25/11/08 e scritto da “kommios” ]
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