Indoeuropeo: 4 – Il quadro complessivo / II parte

Contemporaneamente al distacco del ramo anatolico, si sarebbe verificata un’espansione indoeuropea in direzione dell’Asia centrale e della Siberia, che alcuni mettono prudentemente in relazione con la cultura di Afanaseyevo, la quale sarebbe all’origine del tocario.

Anche per il tocario si può parlare di anomalia nei confronti delle altre lingue indoeuropee. Esso presenta infatti dieci casi, nominativoaccusativovocativogenitivoablativodativolocativocausativocomitativo e perlativo, generatisi dalla fusione delle desinenze con le posposizioni. I dieci casi del tocario hanno origine a causa dell’influsso di adstrato delle lingue uralo-altaiche. Il tocario ha in comunanza con il latino e l’ittita per ciò che riguarda le desinenze mediopassive in –r, che si suppongono essere state generate dalla’estensione nell’uso di una terza persona con valore stativo o impersonale

Inoltre condivide con il latino anche il congiuntivo in *-ā. La particolarità del tocario, che essendo una lingua indoeuropea orientale del tipo kentum non presenta la palatalizzazione delle velari, ha indotto il mondo accademico a ridimensionare drasticamente il peso della distinzione satem-kentum in quanto indicatore geografico.

Le lingue satem, e in particolare quelle della famiglia indoaria, per certi versi affini all’avestico e al vedico, ma per altri dotate di proprie peculiarità come i dittonghi ai e au non ancora confluiti nel singolo ēō, sono documentate in Medio Oriente da personali indoarii di sovrani esponenti di effimere dinastie non autoctone impostesi intorno al 2000 a.C e per breve tempo sulle precedenti organizzazioni statali di matrice semitica nei territori della mezzaluna fertile.

Con buona probabilità, la semplificazione vocalica tipica dell’indoario, la trasformazione in lingua satem e compatibilmente anche la diffusione degli indoarii in direzione sud orientale deve avere avuto inizio intorno al 3000. a.C. o anche prima, tenendo in considerazione la presenza dei numerali a base diecidexantah-dexan, connessi ad un protoindoario *deksam e con la vocale e non ancora mutatasi in ae, della parziale assunzione di caratteristiche delle lingue satem, come da k mutata in ks.

Oltremodo, la parziale “satemizzazione” indicata da tali forme riporta alla mente situazioni compatibili rispetto a quelli del cosiddetto greco “psi”, attestati anche altrove, e mutuati da alcune lingue non indoeuropee come le uralo-altaiche.

Contemporaneamente allo spostamento degli indoarii in direzione sud orientale, è plausibile che si sia realizzata anche la diffusione delle popolazioni parlanti dialetti protogreci verso la Grecia e l’area meridionale dei Balcani. Uno dei più arcaici discendenti del gruppo di questi dialetti protogreci è il miceneo che lascia ipotizzare varianti foniche “protodoriche“, come mostra l’alternanza di forme verbali nella terza persona plurare come accade per le forme future dōsonsi e dōsonti.

Esso appare un dialetto ancora dotato di un caso strumentale differenziato e di un sistema di labiovelari ed è presente in Grecia intorno al XVI secolo a.C. o ne è di poco precedente.

A differenza dell’indoario il greco si pone in assoluta controtendenza rispetto al tocario e a tutto il ramo anatolico e manifesta un consistente sincretismo dei casi. D’altro canto, la struttura verbale delle parlate facenti parte del diasistema greco risulta fra le più conservative. O, per meglio dire, concilia fenomeni conservativi come il mantenimento dell’aumento, con fenomeni innovativi come la genesi di un coerente sistema di coniugazione verbale, realizzato in base alla radicalizzazione delle opposizioni aspettuali che emersero a cominciare dal tardo indoeuropeo comune.

A partire dal 2000 a.C., da una anomalia della Urheimat sarmatica nord occidentale individuata in un area collocabile tra i Carpazi ed il bassopiano germanico, ha origine il gruppo di dialetti Indoeuropei meno conservativi i quali, attraverso diverse ondate tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro, si sposta verso occidente, dando luogo ai diasistemi italiciceltici e germanici.

Questi dialetti, tutti esenti da fenomeni di satemizzazione, presentano le seguenti caratteristiche: una serie di mutamenti fonetici abbastanza complessa che vede la rotazione consonantica e la semplificazione vocalica nel germanico, parziali riadattamenti del consonantismo in celtico e italico, semplificazione prosodica, attraverso la scomparsa del vecchio accento musicale e libero tritonale oltre all’apparizione di un accento demarcativo dinamico sulla prima sillaba che nel sistema germanico tende all’isocronismo sillabico [4].

Inoltre, una marcata ristrutturazione del sistema dei casi, con la scomparsa di casi in numero variabile da uno a tre, connessa alla marcata evoluzione dei costrutti preposizionali. E ancora, la riorganizzazione del sistema verbale, che inizia dalla radicalizzazione dell’opposizione perfetto-presente, mentre si registra la scomparsa dell’aoristo. In particolare, agli estremi si collocano gli idiomi del germanico e delle lingue italiche.

Con la fusione della radice *dhe, “porre”, con i temi verbali, il germanico genera il perfetto debole, e mantiene solo qualche traccia dei vecchi perfetti forti apofonici. Al contrario le lingue italiche smarriscono i vecchi tempi Indoeuropei, ricostruendoli successivamente attraverso l’agglutinazione dei temi verbali con la radice *bhew, “essere”.

Ad iniziare dal 1000 a.C., il continente europeo appare indoeuropeizzato in misura consistente.

Indipendentemente dall’origine delle popolazioni indoeuropee, è incontestabile l’esistenza di una antica lingua comune della famiglia indoeuropea, dalla quale hanno avuto origine gli antichi idiomi latini, greci, celtici, iraniani, germanici, indoarii e di conseguenza la quasi totalità delle moderne lingue europee, con la sola esclusione del basco, delle lingue ugrofinniche e di quelle caucasiche.

NOTE

[4] L’isocronismo sillabico è la caratteristica della lingua per la quale noi percepiamo le sillabe di una parola come se avessero tutte uguale durata

Ad esempio, le parole alacaneportastrano e scranno hanno uguale lunghezza essendo tutte composte da due sillabe. In questa valutazione è irrilevante che ala sia composto da tre fonemi, cane da quattro, porta da cinque, strano da sei e scranno da sette. Allo stesso modo è lecito sostenere che il vocabolo amore sia più lungo di striglia, anche se il primo presenta cinque fonemi ed il secondo otto. Dunque, la sillaba è da considerare come una sorta di unità metrica della lingua. Generalmente è definito sillaba un fonema o un insieme di fonemi che costituiscono un gruppo stabile, o ancora come un fonema o un insieme di fonemi che si possono articolare in modo autonomo attraverso una sola emissione di voce. Secondo questo principio, nella metrica italiana due versi sono dello stesso tipo se hanno lo stesso numero di sillabe. Non casualmente la nomenclatura dei versi italiani si riferisce in modo esplicito al numero di sillabe presenti nel verso, per cui endecasillabo significa “di undici sillabe”, “decasillabo” significa “di dieci sillabe” ecc.

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[ Articolo pubblicato il 25/11/08 e scritto da “kommios” ]


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