1 – Dalla lingua ai popoli
2 – Il problema delle origini
3 – Ipotesi sulle origini
4 – Il quadro complessivo alla luce dei dati etnici e linguistici
5 – Aspetti culturali non linguistici e relative comparazioni linguistiche
6 – Classificazione delle lingue Indoeuropee
7 – Cronologia
8 – Riferimenti

1 – Premessa
Con il termine “Indoeuropei” si indica un insieme di popolazioni accomunate da aspetti culturali che in un particolare momento della storia umana avrebbero diffuso il proprio patrimonio linguistico e materiale in vasti territori estesi dal continente europeo al subcontinente indiano. A queste comunità umane apparterrebbero gli antenati delle popolazioni che attualmente si esprimono attraverso i linguaggi inclusi nella grande famiglia chiamata indoeuropea.
Nonostante l’unità di questa famiglia, correntemente definita con il termine tedesco “Ursprache“, sia stata ricostruita grazie ai meccanismi propri della linguistica comparativa [1], rimane il problema di stabilire l’origine di queste popolazioni, sia che si tratti del punto di partenza di movimenti improvvisi o graduali, “l’Urheimat“, oppure un evento avente giustificazioni di carattere differente.
La disciplina della linguistica che si occupa dello studio delle parlate proprie di queste popolazioni assume il nome di “indoeuropeistica” verso la fine dell’ottocento, periodo nel quale sono pubblicate le prime grammatiche correttamente definibili come “comparative”. Al di là dello specifico interesse per questa famiglia di linguaggi, sono più genericamente applicati i termini “comparatistica” e “linguistica comparata”.
Tra i pionieri di questa disciplina occorre citare Rasmus Christian Rask e Franz Bopp, Johann Christoph Adelung, i fratelli Grimm, Karl Wilhelm von Humboldt e Friedrich Christian Diez.
Il termine “Indoeuropei”, nell’uso a partire dal 1814, non è l’unico che sia stato utilizzato per definire queste popolazioni. Nell’ambito inerente alla germanistica è comune la definizione “Indogermani”, coniata nel 1823 da Pott. Per coenza e correttezza, non sarà utilizzata questa denominazione riferendoci al contesto relativo ad una “protolingua” interessante l’origine di idiomi che vanno ben oltre il caso particolare.
1.1 – Dalla lingua ai popoli
Prima di iniziare il lungo discorso inerente a questi popoli è necessario fare un ampio preambolo.
Accettata la tesi secondo la quale l’uomo ebbe diffusione attraverso successive migrazioni a partire da una specifica zona dell’Africa, nel caso specifico la Rhodesia, il primo di tali grandi eventi, avvenuto tra i 40.000 ed i 30.000 anni or sono, portò ad una differenziazione di fattori genetici nei vari continenti. A tale proposito il parere di Cavalli-Sforza è che furono sufficienti dai 5.000 ai 10.000 anni perché gli appartenenti alla seconda ondata migratoria avessero la possibilità di sovrapporsi alla prima che a sua volta aveva impiegato dai 4.500 ai 5.000 anni per popolare gli stessi territori. Questo evento interessò tutti i continenti, dando origine ai primi insediamenti stabili e alle prime comunità umane. In relazione al continente europeo, il popolo più antico che si ritiene documentato è quello Basco, presente oggi sono nell’estremità nord-occidentale della penisola iberica ed in alcune piccole aree limitrofe del territorio francese. Le prime testimonianze di questa popolazione sembrano risalire a circa 20.000 o 15.000 anni fa, in corrispondenza di un periodo coincidente con quello che interessò la seconda grande migrazione umana. Probabilmente questa popolazione oppose maggiore resistenza alle migrazioni che dall’oriente, a partire da una decina di migliaia di anni or sono, trasformarono le caratteristiche genetiche del continente europeo.
A cominciare dal primo periodo di questo secondo evento migratorio è possibile distinguere tra le caratteristiche del territorio occidentale e quelle dei territori posti più ad Oriente.
Il primo appare colonizzato da popoli di gruppi differenti giunti con buona probabilità da meridione e le cui prime testimonianze riguardano le popolazioni semitiche. Nel secondo, dopo una prima colonizzazione della zona dei grandi fiumi, gruppi umani si spingono fino ai territori dell’attuale Cina, risalendo in seguito a nord.
Con la nascita di nuove aggregazioni umane si verifica un nuovo grande movimento migratorio verso occidente di popolazioni per le quali i particolari della differenziazione culturale risultano tuttora poco noti. Si tratta di Mongoli, Slavi, Lapponi, Siberiani, Finnici, Goti e Germani tra gli altri.
I territori orientali sono quasi del tutto occupati da gruppi umani la cui più evidente similitudine è quella dello sviluppo di lingue monosillabiche, ma non vi è alcuna conferma di affinità di tipo fisico così come appare invece abbastanza marcata la differenziazione di tipo genericamente culturale.
Accanto a questi popoli, in possesso di avanzate manifestazioni culturali e stanziati nei territori dell’Asia centrale, compaiono in epoca più recente altri gruppi che si distinguono per differente patrimonio, giunti con buona probabilità da una direttrice settentrionale e individuabili lungo una fascia di territorio estesa sino alla valle dell’Indo.
Ormai presenti in Europa ed in Asia, questi gruppi precedono quelli che siamo soliti attribuire alla successiva ondata migratoria costituita dalle popolazioni che chiamiamo “indoeuropee”.
Queste ultime giunsero presso le relative sedi storiche dopo lunghe migrazioni che avevano loro consentito l’acquisizione di elementi culturali propri dei gruppi umani con cui erano venuti in contatto lungo i vasti territori che avevano attraversato. Ma già molto tempo prima della loro apparizione un insieme di comunità culturalmente affini viveva in un territorio non ancora individuato con certezza.
Le caratteristiche culturali proprie di queste comunità le fanno ritenere all’origine di tutte quelle popolazioni che porteranno alla nascita della definizione di “famiglia indoeuropea“, anche se occorre sottolineare che le motivazioni per le quali tale ipotesi è ritenuta plausibile fanno riferimento a fattori rilevabili in condizioni storiche e culturali ben più tarde. In ogni caso, la tesi dell’esistenza di un primitivo popolo in possesso di una peculiare cultura è suffragata da numerosissimi elementi, linguistici e materiali, così da essere ritenuta come la principale sintesi dell’indagine storica allo stato dell’arte.
Il primo elemento a sostegno di tale ipotesi riguarda l’aspetto linguistico. A questo proposito, occorre premettere che all’interno della disciplina che si occupa dello studio delle lingue sono presenti strumenti e meccanismi in grado di consentire il riconoscimento dell’affinità tra differenti linguaggi insieme alla possibilità di ripercorre il processo evolutivo che le lingue hanno attuato nel tempo e nello spazio geografico.
Sulla base di questi elementi, ormai chiaramente sperimentati per le lingue di cui ci occupiamo così come per buona parte delle altre, si è giunti alla ricostruzione di una comune lingua madre, del tutto teorica, la quale comunque corrisponde alla fase primaria da cui tali linguaggi devono aver iniziato la propria evoluzione.
È importante sottolineare il fatto che quando parliamo di “indoeuropeo”, ci riferiamo ad una lingua di cui non abbiamo testimonianze scritte. Ma è altrettanto è indispensabile chiarire che il percorso che ha condotto alla ricostruzione di tale lingua è fondato su principi propri della disciplina linguistica che sono indiscutibilmente affermati per la loro affidabilità e che si applicano senza esitazioni ai fenomeni evolutivi di tutte le lingue delle quali conosciamo almeno una parte del percorso storico.
A tale proposito, il termine utilizzato per indicare l’antica lingua ricostruita attraverso questi metodi è oggi preferibilmente quello di “protoindoeuropeo”. Il termine collettivo “indoeuropee” è invece utilizzato per definire le lingue evolutesi indipendentemente a partire dalla prima differenziazione della “protolingua”.
Detto ciò, è chiara la constatazione dell’esistenza di una “famiglia” [2] di lingue per le quali sono ricostruibili percorsi evolutivi distinti a partire da un’unica fonte morfologica e lessicale. A questo insieme linguistico attribuiamo l’appartenenza delle parlate indoarie, iraniche , traco-frigie, tocarie, anatoliche, armene, greche, illiriche, italiche, celtiche, germaniche, slave e baltiche, insieme ad altre considerate isolate o non del tutto certe. Oltre a ciò, nasce la necessità di supporre l’esistenza di idiomi ora del tutto scomparsi e dei quali non rimangono evidenze nella maggior parte dei casi. Se ve ne sono, esse portano alla constatazione che tali idiomi devono aver sostenuto un percorso evolutivo alquanto differente dai gruppi di lingue elencati in precedenza.
Da ciò, e secondo le analisi effettuate sulla base delle norme che regolano la disciplina linguistica nella sua espressione filologica, si è giunti a stabilire gruppi di appartenenza indipendenti all’interno della famiglia indoeuropea.
Ad esempio, al gruppo tracio-frigio cui alcuni attribuiscono l’armeno, mentre per altri questa lingua costituisce un gruppo a sé stante, apparteneva forse l’antico macedone, lingua ormai scomparsa e propria degli antichi abitanti della Macedonia da considerarsi affine alle parlate greche e che non ha nulla a che vedere con l‘omonima odierna lingua che appartiene invece al gruppo slavo.
Il gruppo illirico, che designa un insieme di parlate comuni tra le quali alcuni inseriscono il messapico diffuso in alcune aree dell’Italia meridionale, idioma comune ai popoli Iapigi noti come Messapi, Dauni e Peucezi, pare essere connesso all’attuale albanese, sebbene altri sostengano la necessità di considerare per ques’ultimo la presenza di un sottogruppo traco-illirico a causa delle connessioni rilevate con le lingue dell’adiacente territorio tracico. Al gruppo illirico qualcuno tenderebbe ad attribuire anche il venetico o paleoveneto, dalla maggioranza compreso invece nel novero delle lingue italiche. D’altro canto, anche questa lingua presenta similitudini con le parlate degli antichi Liburni, Delmati, Iapodi e Pannoni.
Essa è comunque una lingua che presenta tali somiglianze con il latino e le lingue italiche, oltre che con quelle celtiche padane, da renderlo fonte di interesse particolare. E anche la considerazione relativa alla sua diffusione geografica giustifica l’ipotesi che sia derivato da un gruppo indipendente diffuso in origine dal Baltico al Mediterraneo, ad oriente di una direttrice che lo separava da quello celtico continentale e più o meno coincidente con il corso dell’Elba.
Il liburnico, connesso al venetico a causa di singolari somiglianze, non presenta tuttavia le stesse similitudini con le lingue del gruppo italico ed oggi alcuni tendono ad includerlo in un sottogruppo indipendente del gruppo illirico detto liburnico-japodico, dai nomi di due popoli di matrice illirica diffusi anticamente tra le attuali Istria, Croazia, Dalmazia e Bosnia anteriore.
Il siculo sembra correlato agli idiomi del gruppo italico, così come le parlate degli antichi Sciti appaiono comuni a quelle degli odierni Osseti nel Caucaso, e alcune tribù tra le quali quelle degli Ebrei del Caucaso parlano ancor oggi linguaggi appartenenti al ceppoiranico. Inutile sottolineare che la condizione religiosa non ha nulla a che vedere con quella linguistica. Lo stesso yddish degli Ashkenaziti, gli Ebrei che risiedevano nei territori dell’attuale Germania e Polonia, è una commistione della lingua ebraica propria e di quella tedesca (אשכּנזי, “Ashkenaz” significa “Germania”) così come la lingua dei Sefarditi (ספרד, “sefarad”, “occidente”) ha assunto caratteri dei linguaggi propri dei territori iberici dai quali questo gruppo di Ebrei venne espulso all’epoca delle grandi persecuzioni del XV secolo.
Per altre lingue non è certa l’appartenenza alla famiglia indoeuropea: ad esempio per il lidio, che presumibilmente assorbì soltanto singole caratteristiche dal protoindoeuropeo o da parlate da questo evolutesi, e per il licio, di appartenenza incerta. In generale si ritiene che la lingua degli Etruschi non fosse indoeuropea e nemmeno semitica. Tuttavia, non mancano sostenitori della tesi contraria. In effetti, quanti sostengono di vedere una somiglianza tra la lingua etrusca e il dialetto dell’isola greca di Lemno implicitamente attribuiscono un’origine indoeuropea all’idioma etrusco, sia che la parlata isolana sia da ricondurre al gruppo greco continentale propriamente detto, sia che essa sia invece assimilabile al gruppo anatolico come altri intendono sostenere. Non appaiono invece affatto convincenti i tentativi di interpretare la scrittura ideografica dei Chetiti attraverso il confronto con l’armeno e di attribuire dunque la loro lingua come indoeuropea.
Infine, agli inizi del XX secolo, nelle città di Turfan e di Qarasahr, lungo il bacino orientale del fiume Tarim in territorio dell’Asia centrale, sono stati ritrovati alcuni manoscritti contenenti frammenti di un’opera buddhista, redatti in una lingua certamente appartenente al gruppo indoeuropeo che è stata convenzionalmente chiamata tocario [3]. Forse riconducibile ad una variante dialettale Indo-Scitica, mostra concordanze con l’ittita, con le parlate greche e quelle indoiraniche, e sorprendentemente sembrano notevoli quelle con le lingue germaniche.
NOTE
In questo e negli articoli a seguire si fa riferimento ai termini del protoindoeuropeo e dell’indoeuropeo tardo indicandoli in grassetto e in color rosso: *abcdefg. In grassetto i vocaboli nelle lingue differenti: abcdefg. Tra virgolette la trascrizione quando la lingua non utilizzi l’alfabeto latino: “abcdefg”. Tra virgolette ed in corsivo la traduzione: “abcdefg”. I termini ricostruiti di una qualunque lingua sono indicati convenzionalmente facendoli precedere da un asterisco: *abcdefg è dunque un termine non documentato, ma dedotto dall’attività della linguistica comparativa e dalle leggi che la regolano. Qundo l’asterisco segue il nome di una lingua, indica che tale lingua non è accertata ma dedotta attraverso lo stesso meccanismo: abcdefg* indica pertanto che dall’analisi di lingue affini e per le regole della linguistica comparativa, si suppone l’esistenza di una lingua comune o protolingua così definita.
[1] La linguistica è la disciplina scientifica che si occupa dello studio della lingua intesa come potenziale innato dell’uomo di produrre il linguaggio. Inoltre si occupa del linguaggio, in quanto prodotto di questa facoltà. La linguistica generale si occupa di elaborare le categorie e i concetti con cui descrivere tale capacità. E’ suddivisa nelle seguenti aree: fonologia, morfologia e sintassi che insieme compongono la grammatica; metrica o prosodia, che si occupa della struttura ritmica e intonativa della lingua; pragmatica;lessicologia, che comprende anche l’etimologia. Sottodiscipline si considerano la dialettologia, la sociolinguistica, l’etnolinguistica, la psicolinguistica, l’ecolinguistica. I due metodi principali della linguistica sono la linguistica diacronica, o glottologia, che analizza i fenomeni linguistici dal punto di vista storico e comparativo e la linguistica sincronica, che oggi segue si rifà alle teorie di Noam Chomsky sulla grammatica generativa. Questa si basa sulla ricerca di determinate leggi che regolano la generazione di fatti linguistici in un determinato ambito temporale.
La linguistica comparativa è quella parte della linguistica che studia le relazioni tra le lingue e l’evoluzione interna di ogni lingua secondo una tecnica di confronto delle fasi evolutive di una stessa area linguistica e di confronto tra le lingue affini.
La linguistica comparativa è appunto un sistema comparativo che analizza il sovrapporsi dei vari stadi di trasformazione della lingua attraverso le contaminazioni che via via si accumulano nel tempo sotto la spinta di successivi decadimenti morfologici e fonematici.
[2] La maggior parte delle lingue può essere ricondotta a determinate famiglie linguistiche. Una famiglia identificata costituisce un’unità filogenetica,i cui membri, cioè, sono considerati come derivanti da un comune antenato che molto raramente è una lingua conosciuta. E’ comunque possibile ricostruire molte delle caratteristiche della lingua comune originaria attraverso il metodo comparativo.
Le famiglie linguistiche possono essere suddivise in sottounità dette “rami” poiché l’evoluzione di una lingua rappresentata spesso da un diagramma ad albero.
Gli antenati comuni di una famiglia o di un ramo sono detti protolingue. Talvolta una protolingua può essere identificata con una lingua storicamente nota. Ad esempio le varietà dialettali del latino hanno originato le moderne lingue romanze, e quindi il protoromanzo va considerato più o meno identico al latino volgare.
[ Articolo pubblicato il 25/11/08 e scritto da “kommios” ]
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