Il popolo detto della cultura di Golasecca risalente all’età del ferro è inequivocabilmente di origine celtica, ben antecedente alla storica invasione del IV secolo a.C. Le sue origini risalgono addirittura alla seconda metà del II millennio all’interno della cultura locale dell’età del bronzo.

Il territorio su cui si estendeva la popolazione golasecchiana era molto ampio, anche se non uniforme, comprendeva le pianure tra i fiumi Sesia ed Olio estendendosi a nord fino alle pianure ed i contrafforti alpini a sud dei passi che conducono verso le vallate superiori del Rodano e del Reno. Si è detto che la cultura di Golasecca discende dalla cultura locale dell’età del bronzo, detta di Canegrate; infatti sono molti gli studiosi che vedono un continuo evolutivo tra le facies di Canegrate del XIII secolo a.C. e quelle successive di Golasecca del VII secolo a.C. Un fattore importante da tenere in considerazione è che alcuni reperti risalenti a Canegrate sono diversi da quelli comuni nell’ambito locale, ma ben conosciuti nella regione a sud della Germania dove si sviluppò la cultura dei campi d’urne, unanimemente considerata antenata dei Celti dell’età del ferro. Tali reperti sono manufatti in bronzo ampiamente diffusi e ceramiche a scanalatura, utilizzati nei riti inceneritori, il che fece supporre ad un’espansione delle popolazioni protoceltiche dei campi di urne. Non esistono però prove tali da confermare questa tesi anzi, al contrario l’area mediterranea in questo periodo vive una forte instabilità dovuta a continui spostamenti di popoli e conseguenti guerre, mentre in Europa continentale vi è un periodo di calma il che farebbe pensare che i ritrovamenti della cultura di campi di urne al di qua delle Alpi sia dovuta più ad una moda che ad un’espansione di tale popolo. Diversi studiosi quindi ritengono che si possa parlare anche della cultura di Canegrate come di popolazioni protoceltiche, infatti la fine dell’età del bronzo è stata la base su cui si formarono successivamente le culture dell’età del ferro, per questo motivo la cultura di Canegrate prende il nome di cultura protogolasecchiana. Che la popolazione golasecchiana fosse celtica e conseguentemente quella di Canegrate protoceltica, si evince anche dai ritrovamenti nella necropoli di Ascona e del ripostiglio dei bronzi di Malpensa, reperti che comprendono gambiere in lamina di bronzo decorate a sbalzo, decorazioni a ruote solari associate ad uccelli acquatici stilizzati; reperti trovati non solo in Italia settentrionale ma anche in gran parte dell’Europa, dalla conca carpatica fino ai dintorni di Parigi, il che indica una piena integrazione dell’area golasecchiana con il resto dell’Europa.
Un altro fattore che si desume dai ritrovamenti archeologici è che già a partire dal X secolo a.C. viene a crearsi la necessità di avere una élite guerriera ben equipaggiata, come testimoniato dall’armamentario ritrovato all’interno delle tombe della necropoli di Morta in provincia di Como. Tale necessità è motivata dalla ricchezza che si viene a produrre in queste zone, ricchezza dovuta all’ubicazione geografica che consentì il controllo delle vie commerciali tra il versante nord e sud delle Alpi. Tutto ciò consentì lo sviluppo, in una zona omogenea, di una società diversificata rispetto ai vicini, nonché la nascita di una delle più antiche città europee al di fuori della zona mediterranea. Al periodo di benessere appena descritto segue per tutto il IX sec. e metà del l’VIII sec. un calo, probabilmente dovuto a mutazioni climatiche che portarono un periodo di forte piovosità, come dimostrato dai livelli dei laghi svizzeri sulle cui sponde, da secoli, sorgevano abitazioni abbandonate in seguito all’innalzamento del livello dell’acqua. E’ presumibile che tali innalzamenti dovuti alle copiose precipitazioni abbiano influenzato anche la vita ed i commerci in pianura padana, rendendo difficile l’utilizzo delle vie d’acqua.
La situazione migliorò verso la fine dell’ VIII secolo e a testimonianza di ciò vi sono la nascita di complessi abitativi e di necropoli lungo le due sponde del Ticino allo sbocco nel lago Maggiore; controllando la zona strategica che va dai passi alpini che conducono all’alta valle del Rodano e a quella del Reno e a sud seguendo le vie fluviali fino al Po. Tra gli scavi effettuati a Golasecca, Castelletto Ticino e Sesto Calende, spiccano due tombe a incinerazione databili VII secolo a.C., la cui ricchezza principesca fuga ogni dubbio sul rango che dovevano detenere i guerrieri all’interno della cultura di Golasecca, infatti al loro interno sono stati ritrovati un carro a due ruote, elmo e gambiere di bronzo, spada di ferro, lunga lancia di ferro con l’asta munita di tallone e situla di bronzo istoriata, servizio da bevande, il cui secchio spicca per importanza in quanto è diverso da tutti gli altri, non vi è comunanza con i contemporanei etruschi e italici, con quelli veneti e con lo stile hallstattiano, ovvero significa che tale opera va attribuita ad una produzione autoctona in seguito anche esportata oltralpe. La principale caratteristica di tale decorazione sta nel fatto che mentre in nelle altre zone italiche iniziano a venir fatte decorazioni in rilievo e mediante tratti continui al fine di dare maggior contorno e realismo all’immagine, tecnica che caratterizzerà l’arte lateniana, a Golasecca si utilizza una tecnica che deriva direttamente dalla fine dell’età del bronzo, ovvero il rappresentare figure volutamente non realiste, mediante una serie di punti sbalzati dal rovescio, la volontà di non rappresentare figure simili alla realtà si evince anche dal fatto che tutte le rappresentazioni figurative sono in stile antropomorfo e questo non per incapacità o mancanza di originalità, infatti di esempi per eventuali ispirazioni ve ne erano, come il bacino bronzeo ornato con leoni e persone alate ritrovato a Castelletto Ticino, così come da manufatti in arte venetica.

In realtà esiste una raffigurazione che consente di identificare l’aspetto dei celti di Golasecca, si tratta di una stele ritrovata a Bormio, (vedi figura “stele di Bormio”) Valtellina, estremamente importante sia perché unico ritrovamento del suo genere, sia per la rappresentazione che fornisce e che si ricollega all’aspetto guerriero golasecchiano, dandoci possibili indizi sul perché sono state ritrovate solo due tombe del livello sopra descritto. In questa raffigurazione spicca un personaggio di faccia, coperto da un grande scudo e con in testa un elmo, che tiene in mano un’insegna militare, tale insegna è parallela ad una lancia che sta dietro un piccolo scudo rotondo e che potrebbe trattarsi di un trofeo. Tale personaggio potrebbe essere sia un capo militare sia il Dio protettore del popolo, messo in una posizione che dà l’impressione di assistere ad una parata militare preceduta da trombettisti. Questa raffigurazione unita ai ritrovamenti nelle due famose tombe, possono significare che in alcuni momenti della loro storia i Celti di Golasecca hanno avuto la necessità di formare un apparato militare; il carro a due ruote è un segno di questa urgenza, in quanto è databile al VII secolo a.C. mentre nel resto d’Europa si diffuse nel V secolo a.C.; in oltre se esiste un apparato militare automaticamente deve esistere un leader, un condottiero che conduca il popolo in guerra, condottiero che spiccherà rispetto agli altri per il suo rango e magnificenza, proprio come spicca il personaggio sulla stele di Bormio, dotato di un armamentario degno del suo status, proprio come quello riscontrato nelle due tombe. Quindi l’evento eccezionale che costringe tutto il popolo a dotarsi di un leader paragonabile ad un dittatore romano, unito al fatto che esso per essere ricordato in magnificenza debba conseguire una vittoria strepitosa, fa sì che tali tombe siano estremamente rare anche se va detto che gli scavi archeologici fatti fin’ora sono scarsi e non è escluso che in futuro vi siano nuove scoperte. E’ anche probabile che l’esercito non servisse per attaccare altre popolazioni, ma ben sì per difendersi da eventuali attacchi, infatti la posizione strategica del territorio, descritta precedentemente, creò ricchezza e materie prime, senza considerare che è impensabile un eventuale transito di merci straniere sul loro territorio senza il permesso dei principi locali, i quali molto probabilmente richiedevano pagamenti o doni in cambio di un transito tranquillo. Una cosa è certa, nonostante in Italia la cultura di Golasecca sia ignorata, fu un elemento fondamentale della cultura europea, ne influenzò le mode e lo stile artistico, lungo le vie commerciali che collegavano le due sponde delle Alpi e da lì nel resto d’Europa, le creazioni golasecchiane si sono diffuse un po’ ovunque, Francia, Belgio, Renania e Boemia; soprattutto oggettistica di bronzo prodotta grazie sia alle materie prime che transitavano sul suo territorio, come lo stagno proveniente dalla Boemia e dalla Gran Bretagna, sia dalle materie prime estratte dalle Alpi come nel caso del rame. La produzione bronzea era svariata, comprendeva recipienti, pendenti, oggetti ornamentali, porta fortuna e tutto ciò che col bronzo si può fare, oggettistica che si troverà frequentemente nelle tombe dei principi transalpini, insieme al carro a quattro ruote utilizzato per il trasporto del defunto, servizi per bevande con contenitori esageratamente grossi, fino alla capacità di 1100 litri come quello ritrovato a Vix. Un’altra prodotto tipicamente golasecchiano è il Kline, un grosso letto in bronzo su cui veniva deposto il defunto all’interno della tomba, tipo il famoso kline della tomba principesca di Hochdorf a Stoccarda. I prodotti in bronzo non sono gli unici reperti che si possono trovare nelle tombe principesche transalpine, infatti parecchie ceramiche riferibili a Golasecca sono state trovate in importanti tombe in area francese, svizzera e tedesca, ad esempio un caratteristico bicchiere decorato con motivi orizzontali rossi e neri. Senza voler attribuire, in mancanza di prove concrete, la paternità della croce celtica a Golasecca, va detto però che una tipica decorazione della ceramica golasecchiana consisteva nel stampigliare una croce inscritta in un cerchio, decorazione che nel VI secolo a.C. valicò le Alpi per diffondersi in Europa, dove i ritrovamenti di questo vasellame vanno dall’est della Francia fino alla valle del Danubio. Non solo l’oggettistica golasecchiana si diffonde in Europa, ma anche le tecniche stilistiche, come nel caso dei vasi stampigliati ritrovati in Armonica nel VI secolo, luogo in cui non vi sono dei precedenti che al contrario abbondano in nord Italia. Ciò può spiegare come l’oggettistica sia arrivata in quelle zone tramite i movimenti commerciali fatti dai golasecchiani i quali dovevano procurarsi lo stagno proveniente dall’altro lato del mare, commercio che porterà tre secoli più tardi al ritrovamento di dracme padane in Cornovaglia. Che questo tipo di oggetti furono il motivo trainate di questi commerci e delle conseguenti esportazioni stilistiche si evince dal fatto che contemporaneamente alla stampigliatura armoricana, compare in Boemia la ceramica decorata a traslucido, una novità per il posto ma già ben conosciuta e diffusa a Golasecca e la Boemia è un’altra zona stannifera. La ceramica stampigliata influenzerà nel V secolo a.C. la cultura lateniana, dove tale tecnica verrà adottata diventandone un fattore tipico. Le stesse decorazioni: esse, cerchi, croci e più raramente motivi vegetali e animali, la loro posizione ed i punzoni utilizzate non lasciano dubbio che la matrice originaria era Golasecca.
[ Articolo pubblicato il 27/02/06 e scritto da “Asgard” ]