
Nel 1978-79 venne esplorato un sito funerario a est di Hochdorf, non lontano da Stoccarda. Il tumulo aveva un diametro di sessanta metri, per un’altezza di otto. Una cripta di legno e pietra, delle dimensioni di 4,5 x 4,5 metri, posta al centro del tumulo, era circondata da un rialzo di creta. Tutt’attorno, si ergeva una struttura perimetrale in pietra; verso nord, una rampa in terra rivestita di pietre conduceva alla camera funeraria; la cripta vera e propria era inserita in una struttura più ampia, e l’intercapedine fra le due costruzioni venne riempita di sassi, mentre il soffitto era formato da travi disposte in senso longitudinale e trasversale. Eccezionali le condizioni di conservazione dei materiali organici: l’imponente copertura del soffitto preservò per secoli la tomba da infiltrazioni d’acqua, in più gli oggetti metallici presenti nella camera svilupparono ossidi tossici che impedirono la distruzione di materiale organico da parte dei batteri: abbiamo così a disposizione reperti in cuoio, legno e tessuto che sarebbero altrimenti andati perduti.
La tomba è un raro esempio di sepoltura risalente all’epoca di Hallstatt (VI secolo).
Tale periodo prende il nome da una località dell’Alta Austria, presso la quale fu rinvenuta nel XIX secolo una necropoli con più di mille sepolture, contenenti ricchi corredi funerari. “Hal” significa sale, e fu proprio questa preziosa merce di scambio ad attirare gli uomini in questo luogo celato dai monti, a circa mille metri sul livello del mare, nonostante l’attività agricola fosse impossibile a causa del lunghissimo inverno. Furono scavate numerose miniere, ed i contatti col mondo orientale, settentrionale e mediterraneo furono oltremodo intensi.

L’uomo di Hochdorf era sdraiato su un sofà in bronzo, lungo circa tre metri, munito di uno schienale di forma simile a quello delle seggiole etrusche; la particolare ornamentazione rimanda alla regione a sud delle Alpi, e precisamente all’ambito insubre-golasecchiano, corrispondente all’attuale Italia nord-occidentale ed al Canton Ticino, ove sorsero gli insediamenti celtici appartenenti alla Cultura di Golasecca. Si ipotizza che tale manufatto sia stato realizzato da un artigiano golasecchiano stabilitosi in loco, data la difficoltà di trasporto di un oggetto di tali dimensioni. I motivi ornamentali rappresentano corse di carri e danze di spade, probabilmente nell’ambito di feste sacre; le figure umane hanno lunghi capelli spioventi. Il piano è sorretto da otto figure femminili che lo reggono con le braccia, mentre fra le gambe scorrono rotelle, per cui l’oggetto poteva essere spostato. Il capo del defunto era sostenuto da un guanciale riempito di erbe, il pavimento era coperto di tessuti; preziose stoffe, tenute assieme da fibule in bronzo, pendevano dalle pareti. Lo status dell’uomo, che aveva un’età di circa quarant’anni ed era alto m 1,83, è rivelato dal tipico torc aureo rinvenuto attorno al collo; si sono conservati anche frammenti dell’abito, decorato con sera cinese (proveniente da chissà quale via commerciale), oltre alle pelli e ai tessuti che lo coprivano. In una borsa si trovavano forbici, un rasoio e tre ami da pesca. Una faretra era appesa alla parete, al di sopra della salma. La cintura ed i calzari a punta rostrata erano rivestiti d’oro, ed anche il bracciale e le due fibule erano dello stesso prezioso metallo. Queste ultime erano a forma d’arco serpeggiante, e furono prodotte espressamente per quest’occasione, così come il pugnale, ricoperto da una lamina aurea. Vi era anche un cappello di forma conica, formato da due dischi di betulla cuciti assieme e riccamente decorato.
Alla parete sud della camera funeraria erano sistemati nove corni potori da cinque litri, uno dei quali in ferro. Un grosso calderone stava all’angolo nord-ovest della sala, su un piedistallo di legno, ornato da tre leoni in bronzo in prossimità dell’imboccatura. Aveva una capacità di quattrocento litri, e sul fondo sono stati rinvenuti resti di pollini di fiori, tracce di una bevanda a base di miele. Entro la marmitta c’era una coppa emisferica in lamina di ferro sbalzato, che serviva per bere. Il recipiente era di provenienza greca, forse il dono di un principe ellenico al signore locale, il che testimonia l’intenso rapporto culturale e commerciale delle elites celtiche col mondo mediterraneo.
Dei tre leoni, due sono sicuramente autentici, mentre il terzo è forse un’imitazione di un artista locale. Successivamente furono applicate, tramite chiodi di ferro, tre anse di bronzo.

Ai nove corni potori corrispondono nove piatti bronzei,che erano stati impilati sul carro funebre assieme a tre grandi bacili. Il carro avea quattro ruote massicce ed un grosso timone. Il veicolo era ricoperto da una lamina in ferro decorata. Sul pianale vi erano le bardature dei due cavalli, un giogo ornato in bronzo, due finimenti con morso in ferro ed un pungolo in legno.
Poco lontano dal tumulo fu scoperto l’insediamento di un villaggio, nel quale forse il principe abitava. In questo sito vennero trovati frammenti di ceramica ateniese a figure rosse, parti di un kylyx attico del 425 a.C, ed una coppa greca riportante una figura femminile dinanzi ad un altare. Questi oggetti giunsero probabilmente da Marsiglia, colonia greca nel cuore dell’attuale Provenza, viaggiando lungo il Rodano attraverso le Alpi.
[ Articolo pubblicato il 29/11/06 e scritto da “alec” – Alessandro Caprari ]