
Una delle manifestazioni più interessanti della cultura celtica in Spagna è la scultura zoomorfa, popolarmente conosciuta come i ”verracos”. Si tratta di figure in pietra raffiguranti due specie di animali: il toro e il maiale (in alcuni casi i dettagli permettono di distinguere anche il cinghiale). I verracos sono una caratteristica della cultura castrense vettona e si trovano in tutto l’occidente della Meseta, soprattutto nelle province di Ávila, Zamora, Salamanca, Segovia, Toledo e Cáceres ma anche nelle province portoghesi di Trás-os-Montes e Beira Alta.
In generale queste sculture sono monolitiche, tagliate interamente da un blocco di granito (corpo dell’animale e base). Sono elaborate in un modo piuttosto schematico, lo scultore si limitava di solito a delle linee basiche che permettono di identificare la specie. La posizione dell’animale è sempre la stessa: in piedi e rigorosamente frontale. Le dimensioni variano da 1 m a 2,50 m di lunghezza, sono rappresentati sempre esemplari maschi con gli organi sessuali in evidenza.
La cronologia e la finalità dei verracos sono oggetto di una gran controversia nel campo scientifico, che fino ad oggi non è stata ancora risolta. La loro localizzazione in contesti archeologici difficilmente databili aumentano ancora le difficoltà, ma per fortuna si conoscono alcune collocazioni originali che permettono le seguenti teorie:

*Nel castro “Las Cogotas” sono stati trovati cinque esemplari, di cui quattro lungo il sentiero che conduceva al secondo cinto di mura (parte di questo era probabilmente destinato come recinto per il bestiame). La stessa situazione si presenta nel vicino castro “La Mesa de Miranda”, da dove provengono altri cinque verracos, tre di questi trovati nei dintorni e due nel terzo recinto del villaggio (anche questo probabilmente conteneva parte del bestiame). Questi dati hanno portato alla teoria che i verracos potevano avere un significato magico o religioso relazionato alla protezione e alla fertilità del bestiame, che era la principale fonte di ricchezza di queste popolazioni.
*Alcuni verracos di grande taglia furono scolpiti direttamente nell’interno dei recinti muragliati dei villaggi vettoni o vicini agli ingressi principali e ai sentieri d’accesso dei castros. Anche in questo caso si attribuiscono alle sculture delle funzioni apotropaiche, come difensori del villaggio e del bestiame. Una delle scoperte più spettacolari fu il ritrovamento di un verraco lungo 1,70 m nella base della torre nord (Puerta San Vincente) della muraglia di Ávila. Era stato tagliato in situ dalla roccia sopra lo strato geologico della città. Questa scultura serviva come fondamento di una torre romana che aveva l’ingresso nello stesso punto della ancora esistente porta medievale. Si presume che ancora prima la figura fiancheggiava l’ingresso del castro celtico pre-romano, forse con la simbologia caratteristica del guardiano protettore del villaggio.
Altri esemplari sono stati localizzati ad alcuni chilometri dai castros vicini a prati e ricchi terreni da pascolo, a sorgenti e fonti (elementi basi per l’alimentazione del bestiame), come per esempio nella valle Amblés (Ávila). In questi casi i verracos avrebbero avuto una funzione come “pietra miliare” nel territorio. Segnalavano i confini dei pascoli che servivano per l’allevamento e la sussistenza del bestiame, il cui sfruttamento sicuramente era organizzato dai capi delle diverse comunità che vivevano nella zona. L’economia fondamentalmente pastorale delle comunità vettone, con la necessità di confinare e così difendere i propri pascoli, sembra confermare la tesi dei verracos come “delimitatori” dei terreni da pascolo.
L’impegno e la forza che servivano per elaborare queste sculture – soprattutto quelle di grande taglia e calcolando il peso dei blocchi di granito usati – potrebbe ulteriormente confermare questa funzione: come per esempio il cosiddetto “Toro Abulense” di Villanueva del Campillo, uno dei più grandi verracos conosciuti, con dimensioni di 2,50 m di lunghezza per 2,43 di altezza e strategicamente ubicato all’ingresso della valleAmblés subito dopo il passo di Villatoro, in una delle zone più ricche di prati naturali, gli unici disponibili nei mesi più critici dell’anno.

*La presenza di verracos all’interno o vicino alle necropoli sembra conferirgli anche un carattere funerario. Nella provincia di Ávila (e.g. Martiherrero) sono stati trovati verracos tardivi d’epoca romana di piccoli dimensioni e composti da due pezzi: una specie di urna quadrata per depositare le ceneri e il verraco vero e proprio che fungeva come coperchio dell’urna. Alcuni presentano iscrizioni in latino. Si presume che siano testimonianze della sopravivenza di tradizioni e usi celtici in epoca romana.
*Non si può escludere la possibilità della zoolatria nella quale i verracos sarebbero immagini di culto, ubicati in spazi adeguati per adorare animali sacri e/o divinità indigeni. Questo potrebbe essere il caso del verraco del castro di Castelar, collocato nel centro di un circolo di pietra di 3 m di diametro o anche dei piccoli verracos del castro di SantaLucia (ambedue i castros si trovano in Portogallo) e del famoso gruppo conosciuto come i “Toros de Guisando”, che si trovano ai piedi del versante di un colle chiamato “Cerro de Guisando” vicino al villaggio El Tiemblo (Ávila).
*I verracos avrebbero potuto essere anche degli exvoto offerti alle divinità, come sostengono alcuni scienziati.
*Per quanto riguarda la cronologia, i verracos scoperti nei castros non-romanizzati possono essere datati dal IV. al I. secolo a.C., cioè fino al graduale abbandono di questi villaggi a causa della conquista romana della penisola.
Viste le numerose teorie è anche probabile che le funzioni dei verracos cambiassero con i secoli. È altrettanto importante distinguere i verracos scolpiti in epoca preromana da quelli fatti sotto il dominio romano, dove avevano assunto ulteriori e diversi funzioni, come anche evidenti elementi dell’arte romana (vedi il caso di Martiherrero).
Non è facile precisare quanti verracos completi e frammentati esistono, considerando sempre la presenza di numerose sculture non ancora scoperte e quelle distrutte o ri-utilizzate nell’antichità. Nel medioevo alcuni verracos furono ritagliati per essere usati come pietre squadrate o elementi di riempimento nelle muraglie, come nel caso della muraglia della città di Ávila. Fino ad oggi si contano 400 esemplari raccolti in un catalogo, solo la metà proviene dalla provincia di Ávila.
I Vettoni fecero vanto e ostentazione di questi simboli e insegne che erano i verracos, e fino ad oggi la loro maestosa singolarità è capace di fare breccia nell’animo dello spettatore moderno. Anche per questa ragione Miguel de Cervantes fece di loro dei protagonisti nella sua opera “El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha” (parte II, cap. XIV), nel memorabile discorso del “Caballero del Bosque” ed ancora oggi continuano ad essere presenti nelle piazze dei villaggi e davanti agli ingressi delle case, sui prati e nelle valli della Sierra. Sono il simbolo di una società pastorale ormai scomparsa, il cui valore – se anche sfumato dopo secoli e secoli – è arrivato fino ai nostri tempi.
[ Articolo pubblicato il 24/01/07 e scritto da “Magalì” ]