Le pedine vichinghe di Lewis: scacchi o hnefatafl?

Il 2 Aprile 1831, uno sconosciuto mercante di Stornoway, Roderick Pirie (o Captain Ryrie o Ririe, l’identità è a tutt’oggi incerta), decise di mettere in mostra a Edimburgo la sua meravigliosa collezione di pedine medievali, rinvenute, a suo dire, presso la baia di Uig, sull’isola di Lewis, sepolte sotto 2 metri di sabbia.

Scolpite in preziosa zanna di tricheco e dente di balena, le figure, alte circa 10.2 cm, furono presentate alla Society of Antiquaries of Scotland come gli unici pezzi rimasti di 4 scacchiere vichinghe incomplete, probabilmente realizzate in Norvegia, forse a Trondheim, luogo in cui furono in seguito ritrovate sculture simili. Gli esperti riuscirono a datarle tra il 1150 e il 1200 d.C. 
Con una lettera di presentazione, Roderick Pirie raccontò la storia del loro ritrovamento, lasciando spazio a molti dubbi e a contraddizioni. Alcuni studiosi misero in dubbio la spiegazione di Pirie ma la lettera di presentazione del capitano sparì poco dopo e da allora le pedine di Lewis sono rimaste avvolte da un fitto alone di mistero.
Solo un dubbio sembra essere svanito a molti storici: essendo tutte statuine bianche, potrebbero trattarsi non di pedine per scacchi, ma per il gioco del Hnefatafl (il tavolo del re) vichingo

La contraddizione maggiore sta nella pedina detta “torre” (vedi descrizione sotto). A quel tempo, la torre era il pezzo più importante e più forte della scacchiera, mentre tra le statuine rinvenute, quella figura è troppo piccola e insignificante rispetto alle altre. In effetti, al momento dell’acquisto da parte del National Museum of Scotland, nell’inventario non figura alcuna pedina denominata “torre”. 
Vi sono invece:

  • un soldato a cavallo
  • due vescovi
  • due re
  • due cavalieri, uno dei quali morde lo scudo

Lo stesso British Museum, che oggi ospita la maggior parte delle pedine, non ne menziona neanche una ma fa riferimento alla statua del “carceriere” (oggi corretta con il nome di “soldato che morde lo scudo”). Facendo un calcolo tra i pezzi ritrovati e considerando le cosiddette torri, cavalieri, abbiamo il seguente inventario:

  • 8 re
  • 8 regine
  • 16 vescovi
  • 15 cavalieri
  • 12 carcerieri (o torri)
  • 19 pedoni
  • 14 dischi piatti
  •  Una fibbia per cintura (serviva probabilmente per fare i buchi su una tavola di legno e creare il tavolo su cui giocare)

Dalle ricostruzioni, pare che nel sec. XII in Norvegia si giocasse con 37 pezzi: un re, 12 difensori del re e 24 all’assalto. Ma allora, perché mentire? All’epoca, nella prima metà dell’Ottocento, gli scacchi erano molto in voga: Edimburgo aveva battuto Londra in una memorabile partita e i segreti del gioco erano stati svelati da un grande maestro del gioco, tale William Lewis. Alcuni studiosi hanno ricollegato proprio a William Lewis il nome del luogo del ritrovo. Forse Pirie aveva ben chiaro come quella serie di coincidenze fosse un ottimo mezzo per poter vendere le pedine a un prezzo elevato.

Dal momento del ritrovamento, le versioni si susseguirono senza sosta.
Nel giungo del 1831, un giornale scozzese pubblicò la notizia asserendo che un contadino, scavando nella sabbia, aveva riportato alla luce il misterioso lotto.
Nel 1833 la notizia fu ulteriormente modificata: si disse che erano state ritrovate presso l’antico sito di un monastero, in una stanza con il soffitto a volta, lunga sei piedi e sul cui pavimento erano sparse delle ceneri.
La nuova versione resse fino al 1851, quando si asserì che grazie alla marea primaverile del 1831,  il mare, spazzando via parte della spiaggia, aveva fatto rinvenire una struttura simile ad un forno. Un contadino locale, tale Calum nan Sprot, avvicinandosi al forno vi aveva osservato una serie di gnomi e folletti dalle facce spaventose. Inorridito si era dato alla fuga, ma la moglie lo aveva invitato in seguito a tornarvi e a recuperare il fardello che sarebbe stato poi esorcizzato dal prete locale, Alexander MacLeod.
L’ultima fantasiosa versione del ritrovamento risale al 1967: un allevatore avrebbe osservato una delle sue mucche strofinare le corna su una duna di sabbia, rinvenendo alcuni oggetti bianchi.

L’unica apparente certezza, in tutti questi racconti, rimane l’isola di Lewis e la remota baia di Uig, difficilmente accessibile in tempi remoti.
Ma come sono arrivate queste statuine fino a Uig? La spiegazione sembra plausibile ma è tutta da provare, e i locali stessi sono riluttanti nel parlarne. Nel 1600, una nave partita dalla scandinavia e diretta, presumibilmente, in Irlanda aveva fatto scalo a Loch Hamnaway. Qui, un pastore di nome Gillie Ruadh (Gillie il Rosso) aveva ucciso uno dei marinai per rubargli il prezioso tesoro in avorio, ma temendo di venire scoperto, aveva seppellito il fagotto senza essere più in grado di ritrovarlo. Alcuni anni dopo, sul punto di venir impiccato a Stornoway per un altro crimine, Gillie Ruadh aveva confessato il reato e l’esistenza delle pedine.
Poco dopo il rinvenimento del prezioso fardello rubato, la storia ci narra che Ririe aveva rivenduto le statuine a un antiquario di Edimburgo, TA Forrest, che a sua volta ne aveva cedute 82 al British Museum di Londra e 10 al pittore Charles Kirkpatrick Sharpe. Lo stesso Sharpe era riuscito a impossessarsi di un ulteriore pezzo, arrivando a 11 sculture. Ma anche questa storia rimane ancora oggi piuttosto oscura e pare che, se Ririe sia stato solo un personaggio marginale e la storia che ruota attorno alla sua persona del tutto inventata, il vero truffatore sia stato Forrest, il vero regista che ha saputo tessere le trame di questo fitto mistero.
Oggi le 11 statuette di Sharpe sono conservate presso il National Museum of Scotland, le restanti  82 presso il British Museum di Londra.

Le statuine rinvenute sono tutte riccamente intagliate e ornate.
I re: ogni re siede su un trono finemente ornato, indossa un mantello e tiene una spada nella mano destra. La maggior parte dei re ha la barba. 
Le regine: le regine occupano un trono simile a quello del re e indossano il velo sotto la corona. L’espressione del viso è intensa e il mento riposa sulla mano destra. La mano sinistra fa da appoggio al gomito destro.
I vescovi: ogni vescovo stringe tra una (o in alcuni casi entrambe le mani) un pastorale; nell’altra sorregge una Bibbia. Indossano la mitra sul capo e sono vestiti col paramento. Nonostante gli scacchi (e il Hnefatafl) siano un gioco di guerra, la presenza del Vescovo riflette lo status del sistema sociale del periodo. Spesso i vescovi-guerrieri erano presenti sul campo di battaglia. 
I cavalieri: i cavalieri sono tutti raffigurati a cavallo, indossano elmetti rotondi e sono armati con lance e scudi a forma di aquilone. La sommità degli scudi e’ piatta o arrotondata. Ognuno di questi riporta disegni diversi. 
Le torri: sono dette torri da alcuni studiosi le pedine raffiguranti alcuni soldati a piedi armati di spada e di scudo. Alcuni di questi soldati mordono con rabbia lo scudo. Per l’impeto mostrato in questo gesto, queste torri sono state anche definite “berserker”.
I pedoni: non sono rappresentati da figure umane ma piuttosto come tavole o pietre incise. Sono tutti molto simili tra di loro. 

Ma come si gioca al Hnefatafl? Esistono diverse varianti di questo gioco, che risale al 400 d.C. Si gioca con Re e Cavalieri a piedi, con 3 o 4 pezzi differenti. Le versioni e le configurazioni variano a seconda della saga che si vuole riprodurre. Non è necessario che le pedine siano di colore diverso e che vi sia una scacchiera.

Fonti:
Chess Edimburgh
Hnefatafl – An Experimental Reconstruction

[ Articolo pubblicato il 15/03/07 e scritto da “ScoziaMgz” ]


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