
L’importanza dei traffici etruschi verso le popolazioni celtiche nel sud della Gallia non è palesata soltanto dai ritrovamenti terrestri, legati alle necropoli o alle fondazioni di antichi siti poi abbandonati, ma anche – e forse soprattutto – dalle scoperte sottomarine che si sono succedute nel corso del tempo (specialmente dal 1950 in poi).
Il commercio marittimo era ritenuto, per molti motivi, molto più sicuro e agevole di quello terrestre: anzitutto la nave, a differenza dei carri, poteva contenere un numero di prodotti molto più elevato. Inoltre per mare non c’era motivo di temere i pirati (dato che, essenzialmente, i pirati più temuti erano proprio gli Etruschi), a differenza di quanto succedeva a terra: in ogni anfratto, in ogni foresta (al tempo molto più estese e fitte di quelle odierne) si correva infatti il rischio di imbattersi nei briganti, e il costo di una piccola scorta era molto più dispendioso di un trasporto via mare. Gli Etruschi, che erano molto pratici e avveduti (caratteristica che verrà poi ripresa e raffinata dai Romani), scelsero la via marittima.
La navigazione dei pirati/commercianti etruschi avveniva essenzialmente sotto costa, nonostante le tempeste e i venti fossero imprevedibili e potenti, specialmente da Nizza in poi. È proprio in questa zona, infatti, che insistono gran parte dei relitti ritrovati (non solo etruschi ma anche greci e romani, fino ad arrivare ai relitti della Seconda Guerra Mondiale).


Nel 1955 a Cap d’Antibes, un promontorio tra Nizza e Cannes, fu rinvenuto, a 15 metri di profondità, parte di un carico di circa 170 anfore etrusche di tipo Py 3B e 3A, oltre a una manciata di anfore greche. Nel corso degli anni ’90, altri rinvenimenti hanno costellato l’indagine subacquea nelle acque della Francia, ma i carichi dei relitti in questione, sia a causa dell’azione naturale che dell’azione umana, hanno da sempre presentato molte problematiche.
(Nell’immagine a destra: particolare dei ritrovamenti del relitto di Cap d’Antibes. Da notare il tappo in sughero ancora pressoché intatto).

Molte lacune sono però state per la maggior parte dissipate dal rinvenimento del cosiddetto relitto “Grand Ribaud F” (rinominato così poiché a poca distanza vi è un isolotto che si chiama, appunto, Grand Ribaud). Alla fine degli anni ’90, Henry Delauze e gli esperti della “Comex” (società specializzata in ritrovamenti sottomarini), scandagliando il fondale a circa 60 metri al largo di Tolone, si imbatterono in questo grande relitto. I primi rilevamenti furono interrotti a causa del maltempo, ma quando si poté constatare l’importanza della scoperta (il carico era pressoché intatto) il Ministero della Cultura francese e il D.R.A.S.S.M. (Dipartimento di Ricerche Archeologiche Subacquee e Sottomarine) finanziarono la spedizione.
Il sito si estendeva su 15 metri di lunghezza e 5-6 metri di larghezza, ed era ricoperto da uno strato di posidonie morte, spinte sul relitto dalla corrente marina.
Grazie a un piccolo sottomarino e ad una copertura fotogrammetrica, si riuscì a tracciare la mappa del carico e ad eseguire vari sondaggi, concentrandosi inizialmente sulla parte centrale del relitto, per poi spingersi all’intera imbarcazione.

Quasi tutte le anfore recuperate sono etrusche (circa 400) e sono state datate tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C.
La tipologia di queste anfore fa pensare a una standardizzazione (tipologia 3A e 3B) degli esemplari che provengono probabilmente dalla stessa bottega, Caere per l’esattezza (l’attuale città di Cerveteri). Le anfore sono molto capienti, fra i 26 e i 33 litri. Residui di tralci di vite e tracce di logoramento osservati sulle anfore indicano come queste fossero legate insieme da corde.

La parte “preziosa” di questo enorme carico è però riferita a circa 40 bacili in bronzo: esemplari similari sono stati ritrovati nelle tombe principesche, sia nella Gallia interna che nell’importante sito celtico di Heuneburg (Baden-Wurttemberg, Germania), sempre associati al simposio. Tale ritrovamento rinforza l’idea che questi recipienti bronzei fossero destinati all’aristocrazia celtica come vasellame di prestigio.
Un ulteriore oggetto bronzeo è stato ritrovato in un’anfora: si tratta di una punta di lancia di quasi 24 cm. Possiamo quindi dedurre l’esistenza di scambi commerciali a tutto tondo, non soltanto legati ai beni di consumo o prestigio: ricordiamo, dopotutto, che gli Etruschi erano conosciuti soprattutto per la loro grande abilità nella lavorazione dei metalli.
[PARTE 1][ Articolo pubblicato il 07/09/19 e scritto da Carlo Amendola ]