L’origine delle cornamuse

Inizio col dire che con il termine generico “cornamuse” si intende una grande famiglia di strumenti, che conta al suo interno centinaia di esemplari diversi. Per intenderci, ogni Paese ha in genere diversi tipi di cornamusa tradizionale.

In Scozia, per esempio, oltre alla celeberrima cornamusa delle Highlands, la Great Highland Bagpipe, gli strumenti che possono vantare un lungo passato sono la Scottish Smallpipe e la Border Pipes; quest’ultima viene chiamata anche con i nomi di Lowland Pipes e Reel Pipes.

Oltre a queste cornamuse, in tempi recenti gli scozzesi hanno sviluppato anche altri strumenti, tra i quali figurano ad esempio l’Highland Musette e la Folk Pipes. In Irlanda, sempre parlando di strumenti della tradizione, abbiamo invece l’Uilleann Pipes, la Great Irish Warpipes e la Brian Boru Bagpipes.

Anche la Spagna ha varie cornamuse, tra le quali le più celebri sono sicuramente la Gaita asturiana, la Gaita galiziana e la Gaita de boto. In Italia abbiamo il Baghèt, la Piva Emiliana, la Musa delle Quattro Province, la Baga veneta e un nutrito numero di zampogne, differenti tra loro e che pur non essendo propriamente cornamuse condividono con queste l’origine. Tutto ciò per citare solo gli esemplari più celebri!

Malgrado la loro infinita varietà, che col tempo ha fatto nascere strumenti anche molto diversi tra loro, tutte le cornamuse condividono però un’origine comune. Stando a quanto ne sappiamo oggi, questi strumenti sono infatti comparsi per la prima volta più di 2.000 anni fa nel bacino del Mediterraneo. Vero è che alcuni loro antenati si potevano trovare in tempi più remoti già nell’Antico Egitto, ma in quel caso si trattava semplicemente di flauti costruiti con canne e provvisti di ance, senza sacca né bordoni, che furono aggiunti solamente molti secoli dopo.

Anche nella Bibbia si parla di strumenti con ogni probabilità simili, per l’esattezza nel libro del profeta Daniele, scritto oltre 500 anni prima della nascita di Cristo. L’autore del libro menziona degli strumenti definiti con il termine aramaico “sumponyàh“, tradotto generalmente con “zampogna” o “cornamusa” in molte versioni contemporanee (Cfr. Da 3:5, 10, 15). Secondo il racconto biblico, questi strumenti venivano suonati alla corte del re Nabucodonosor II, il celebre sovrano babilonese che regnò all’incirca dal 634 al 562 a.C. Non sapendo con precisione di che strumenti si trattasse, è lecito ritenere che fossero simili ai colleghi egiziani. Da alcuni bassorilievi sappiamo infatti che i Babilonesi suonavano flauti simili a quelli in uso in Egitto, mentre non risulta che usassero delle cornamuse, nemmeno rudimentali, anche se naturalmente questo non è del tutto sufficiente ad escludere una loro eventuale presenza in quell’area.

La Tibia Utricularis da un bassorilievo romano.

La prima cornamusa in senso stretto, quindi provvista di sacca, di cui si hanno notizie sicure compare invece durante l’Impero Romano: si trattava della Tibia Utricularis, uno strumento che pare fosse suonato addirittura anche dall’imperatore Nerone. Una teoria, in verità piuttosto controversa, vorrebbe che durante il famoso incendio di Roma il famigerato imperatore suonasse proprio una Tibia Utricularis, e non la lira, come vorrebbe invece la tradizione entrata ormai nell’immaginario collettivo. In ogni caso, sappiamo che già i Romani ritenevano la loro cornamusa di origine Greca o Etrusca, quindi la sua nascita potrebbe essere precedente a quella della civiltà romana.

Partendo dal bacino del Mediterraneo, nel corso dei secoli l’impiego delle cornamuse si estese a tutta l’Europa, a buona parte dell’Asia e anche del Nord Africa. Durante il Medioevo, forse il periodo di massima diffusione di questi strumenti, si iniziarono ad aggiungere i bordoni, prima solo uno, poi due e via dicendo, in base allo strumento. Al contempo ogni popolazione sviluppò un proprio modello di cornamusa, poi affinato nei secoli seguenti fino ad arrivare agli strumenti attuali. A proposito dell’aggiunta dei bordoni, è interessante vedere come ancora oggi si possano trovare alcuni tipi di cornamuse che ne sono sprovvisti, in varie parti d’Europa ma anche in Asia e in Africa.

Ma cosa ha portato alla nascita e allo sviluppo di questi strumenti? Beh, ovviamente nessuno può dirlo con assoluta certezza, non essendoci prove al riguardo. L’ipotesi più accreditata sostiene che l’aggiunta della sacca sia stato un modo per evitare la difficile tecnica della respirazione circolare, molto conosciuta e diffusa nel mondo antico. In questa tecnica, l’esecutore accumula una riserva d’aria all’interno della bocca gonfiando le guance, sfruttando poi questa riserva per mantenere lo strumento in funzione mentre inspira. In pratica egli inspira ed espira contemporaneamente, usando le guance proprio come se fossero la sacca di una cornamusa. Come potrete facilmente intuire, non si tratta di una cosa esattamente automatica, e richiede parecchio esercizio! Come se ciò non bastasse, l’impiego eccessivo delle guance porta col tempo ad alterazioni dei tratti somatici, deturpando il viso. L’aggiunta della sacca fatta su strumenti preesistenti permise quindi di evitare tutti questi problemi pur continuando a mantenere un suono continuo, senza interruzioni, facendo contemporaneamente nascere il primo esemplare di cornamusa della Storia.

Articolo pubblicato il 22/08/19 e scritto da Ottavio Gusmini ]


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