Per rintracciare le più antiche origini del popolo gaelico, dobbiamo tornare all’epoca in cui tutta l’umanità parlava una sola lingua.

A quel tempo, l’arrogante sovrano di Mesopotamia, Nemrod il Cacciatore, si recò nella valle dell’Eufrate e qui, 1859 anni prima della nascita di Cristo, ordinò che venisse innalzata una torre così alta da raggiungere il cielo, la stessa che poi divenne universalmente nota come «Torre di Babele».
Ma, narra la Bibbia, Dio punì Nemrod per il suo orgoglio e confuse le lingue di coloro che attendevano alla costruzione dell’altissimo edificio. Quel giorno, l’unico linguaggio che fino ad allora l’umanità aveva parlato, si divise in settantadue idiomi diversi, generando uno scompiglio inimmaginabile. I costruttori non riuscirono più a capirsi l’uno con l’altro e la Torre non fu completata. In seguito gli uomini si dispersero su tutta la terra e diffusero ovunque le loro lingue.
Tra i capomastri di Nemrod vi era un certo Rifath Scot, detto Féinius Farsaid, il quale, dopo la confusione babelica, conquistò per sé un regno in Scizia.
Un giorno i poeti andarono da lui e gli chiesero di scegliere un linguaggio superiore a qualsiasi altro per flessibilità ed espressività. Féinius mandò allora settantadue persone a imparare altrettante lingue, in modo da poter scegliere la migliore, e allo scopo fondò un’accademia nella valle dell’Eufrate. Ma nessuno dei settantadue idiomi esistenti risultò avere i requisiti richiesti, così Féinius ne creò un settantatreesimo, il gaelico, di cui egli stesso progettò la fonetica e la grammatica. Il gaelico contemplava ogni possibile suono pronunciabile dall’uomo e, pertanto, si poteva ben dire che avesse capacità espressive superiori a ogni altro idioma esistente.
La lingua gaelica fu l’eredità che Féinius lasciò ai suoi due figli, Nél e Nenual. Il primo, che era nato presso la Torre di Nemrod, era un esperto conoscitore di tutti i linguaggi del mondo. Il secondo, nativo della Scizia, succedette al padre sul trono, suscitando la gelosia del fratello, il quale l’uccise e venne cacciato dal regno.
In seguito, Nél venne chiamato in Egitto dal faraone Cineris, af-finché insegnasse agli egiziani i linguaggi di cui era maestro. Tale fu l’entusiasmo di Cineris per il dotto straniero che gli diede in sposa sua figlia, di nome Scota, e da questa unione nacque un bimbo, chiamato Gaedal Glas.
Ma nulla di quanto sto per narrarvi sarebbe mai avvenuto, se in Egitto Nél non avesse incontrato Mosè, stringendo amicizia con lui. Infatti, quando il patriarca si mise alla testa del popolo ebraico, guidandolo nella sua fuga dall’Egitto, Nél lo sostenne, e questo gli valse l’odio del faraone.
Egli stesso fu costretto a lasciare l’Egitto e iniziò, per lui e i suoi discendenti, un lungo viaggio alla ricerca di una nuova patria.
Così nacque il popolo dei Gaeli, che altri chiamano Feni, e altri Scoti, secondo quanto dice un antico poeta:
«Feni» furono chiamati da Féinius, etimologia senza segreti, «Gaeli» da Gaedal Glas, «Scoti» da Scota.
Dopo aver vagato per secoli alla ricerca di una patria, i Gaeli si insediarono nell’estremità nordoccidentale della Spagna, nella terra che ancora oggi si chiama, in loro onore, Galizia. Li guidava Breogan, discendente di Gaedal Glas, il quale fondò la città che i romani chiamarono Brigantia. Egli fece anche costruire sulla costa un’altissima torre a dominare il mare.
Breogan aveva dieci figli, tutti molto valorosi, ma Íth, a differenza degli altri, era anche un sognatore.
In una fredda notte d’inverno, quando l’aria era tersa e chiara, Íth si trovava in cima alla torre di Breogan e da lassù contemplava il mondo. D’un tratto intravide in lontananza sul mare i contorni di un’isola illuminata da piccole luci. Riferì ai parenti la sua scoperta e annunciò l’intenzione di andare ad esplorarla. Così Íth prese il mare, con un séguito di centocinquanta guerrieri.
Dopo essere sbarcato nell’isola e aver preso contatto con gli abitanti del posto, Íth s’informò su come si chiamasse quella terra e chi vi regnasse. Gli fu risposto che quella era l’Isola del Destino, e che vi dimorava la stirpe dei Túatha Dé Danann, governata congiuntamente da tre sovrani: Mac Cúill, Mac Cécht e Mac Gréine.
Per qualche ignota ragione, i Túatha Dé Danann si convinsero che il giovane fosse approdato nell’isola allo scopo di spiarli e macchinare chissà quali sordidi piani contro di loro. E, ritenendolo pericoloso, complottarono contro di lui e lo uccisero.
Il corpo senza vita di Íth venne raccolto dai suoi compagni, i quali lo portarono in Spagna per restituirlo ai parenti. La rabbia subito accese i loro animi e così i Gaeli decisero di partire alla volta dell’isola per compiere vendetta.
Si equipaggiarono imponentemente, armando una flotta di ben sessantacinque navi, il cui comando fu affidato a otto giovani: Donn, Amairgin, Éremón ed Éber, Colptha, Ír, Érech ed Érennán. Costoro erano figli del valoroso Míl Espáine, figlio di Bíle e nipote di Breogan.

I Milesi e i loro compagni navigarono per giorni e giorni senza mai sostare, finché non scorsero, lontana sul mare, la costa dell’Isola del Destino. Allora, sentendosi ormai prossimi alla mèta, gli uomini fecero a gara nel raggiungerla a forza di remi e di vela.
Tra i Milesi vi era Ír, un coraggioso guerriero che aveva condotto i fratelli sul campo di mille battaglie. Egli, in virtù della sua prestanza, sopravanzò gli altri scafi, distanziandoli di diverse lunghezze. La prodezza del giovane contrariò l’invidioso fratello Donn, il quale proruppe: “Non sia mai che Ír proceda innanzi ai fratelli maggiori!”
All’istante, il remo che Ír maneggiava si ruppe tra le sue mani, e il giovane, perdendo l’equilibrio, si spezzò la schiena sul banco di voga. Morì la notte seguente, tra le lacrime dei fratelli.
“Donn non imparerà mai a controllarsi” si lamentò Éremón.
“Le sue maledizioni vanno a segno come frecce” concordò Éber. “Eppure non se ne rende conto. Sembra addirittura contento.”
“È l’entusiasmo per il prossimo approdo” tentò di giustificarlo Amairgin. “Anche se a mio parere Donn commette un grave errore nel gioire per una terra che lo ha reso invidioso di suo fratello.”

Nel frattempo, i Túatha Dé Danann, vedendo la flotta avvicinarsi, ricorsero alle loro arti druidiche e fecero scomparire l’intera isola, dissimulandola dapprima nella nebbia e poi trasformandola in un enorme dorso di maiale inarcato tra le onde del mare. Perciò Ériu conta tra i suoi molti nomi anche Inis Ceoí, «Isola delle Nebbie», e Muic Inis, «Isola dei Porci».
Di fronte a un tale prodigio, i Gaeli rimasero a bocca aperta, ma Amairgin, che era poeta e giudice, non si lasciò intimorire. Era evidente che gli abitanti dell’isola padroneggiavano forze soprannaturali, ma egli sapeva anche come contrastarle. Consigliò a Donn di circumnavigare tre volte l’isola e, difatti, al terzo giro la costa ricomparve davanti ai loro occhi.
I Milesi sbarcarono a Inber Scéne, nel Múmu, alla vigilia di Beltain, 1698 anni prima della nascita di Cristo. Quindi marciarono ver-so l’interno e, dopo tre giorni, giunsero a Slíab Mis, dove si imbatterono in una bellissima donna, dallo sguardo fiero.
Amairgin salutò l’affascinante signora e le chiese chi fosse.
“Sono Banba, sposa di Mac Cúill, regina dei Túatha Dé Danann” rispose fieramente ella. “Se siete venuti per impadronirvi dell’isola, non realizzerete mai il vostro obbiettivo. Ma se mi farete un adeguato dono, intercederò per voi.”
“Dimmi cosa desideri,” rispose Amairgin, “e faremo il possibile per accontentarti.”
“Non chiedo molto” disse Banba. “Soltanto che diate il mio nome a questa terra.”
I Gaeli accettarono di buon grado e partirono verso Slíab Eibline, dove incontrarono la seconda regina, Fódla, moglie di Mac Cécht. Anche lei pretese che venisse dato il proprio nome all’isola in cambio della sua protezione e, nuovamente, Amairgin promise di esaudire questa richiesta.
Infine, quando giunsero a Uisnech Míde, il punto centrale dell’isola, incontrarono la terza regina, Ériu, sposa di Mac Gréine.
“La vostra venuta, guerrieri, era stata profetizzata da tempo” disse la regina ai Milesi. “Questa terra sarà vostra per sempre e al mondo non ce ne sarà mai una migliore.”
“Sono belle parole ed è una buona profezia” replicò Amairgin. “In tuo onore, Ériu sarà il primo nome di quest’isola, per sempre.”
“Quante sciocchezze!” Il livido Donn si erse alle spalle del fratello. “Non è lei che dobbiamo ringraziare, ma i nostri dèi e la forza delle nostre braccia.”
“Vorrà dire che per te la mia profezia non avrà alcun valore” gli rispose gelidamente Ériu. “Nessun guadagno ti arriverà da questa spedizione e non ne avranno neppure i tuoi figli.”
Fu così che da quel giorno l’Irlanda ebbe i nomi delle tre regine: Banba, Fódla, Ériu.

Poi i Milesi giunsero a Temáir, dove trovarono i tre re dei Túatha Dé Danann: Mac Cúill, Mac Cécht e Mac Gréine.
“Siamo giunti sulla vostra isola per vendicare la morte del nostro congiunto Íth” annunciò Amairgin, con voce ferma e decisa. “Potete scegliere se cederci la regalità seduta stante, o affidare il responso alla forza delle armi.”
I tre re si consultarono con i loro druidi, quindi si rivolsero ai figli di Míl. “Riprendete il mare e allontanatevi oltre la nona onda” proposero in tono mellifluo. “Se riuscirete a sbarcare, l’isola sarà vostra per sempre e noi ci sottometteremo al vostro dominio. Ma se fallirete, allora ve ne tornerete da dove siete venuti e non tenterete più di invaderci.”
Amairgin li osservò attentamente. Era ovvio che i tre sovrani erano ben sicuri che sarebbero riusciti a impedir loro di approdare nuovamente, grazie agli incantesimi e alle potenti arti dei loro druidi.
“Se si seguisse il mio consiglio, sarebbe battaglia ora” sibilò Donn.
“No!” decise Amairgin. “Dobbiamo accettare la sfida, affinché nessuno in futuro possa disputarci il dominio su Ériu.”
Così i Milesi ripresero il mare e si ritirarono oltre la nona onda. Le navi ristettero per un poco dinanzi alla costa, beccheggiando su un mare perfettamente calmo. Quindi, a un segnale di Amairgin, i remi furono gettati in acqua e le prue si volsero di nuovo verso Ériu.
Ma di colpo, ecco il cielo divenire nero come un tizzone e il mare agitarsi. In pochi istanti si scatenò una tempesta talmente terribile che le onde sollevavano perfino la sabbia del fondale. E più le navi dei Milesi si avvicinavano all’isola, più la burrasca si faceva violenta. Il vento era così forte da strappare le vele dai pennoni, e i cavalloni si rovesciavano sugli scavi. Chini sui banchi di voga, più volte i Milesi tentarono l’approdo, e altrettante vennero respinti.
“È una tempesta suscitata con arti druidiche!” urlò Amairgin. “Se così è, si abbatterà direttamente sulle nostre navi. Qualcuno salga sull’albero a vedere se lassù vi è bonaccia.”
“Vado io!” esclamò Érennán, il più giovane degli otto fratelli.
Lottando contro la forza del vento, arrivò sulla cima del pennone, e rimase stupito nel ritrovare, a poche spanne d’altezza, un cielo limpido e azzurro. Fece appena in tempo ad avvertire che lassù non tira-va un alito di vento, che un’improvvisa raffica lo strappò dall’albero. Érennán fu scagliato sulla tolda e si ruppe tutte le ossa.
“I nostri druidi sono degli inetti!” s’infuriò Donn. “Possibile che non sappiano neppure acquietare un vento magico?”
“Non intendo darmi per vinto.” Amairgin si levò in piedi e cantò:
Io ti invoco, terra di Ériu.
Sia luccicante e fertile il mare,
sia fertile e feconda la montagna,
sia fecondo il bosco stillante,
sia stillante il fiume di cascate,
sia di cascate il lago dalla pozza profonda,
sia di pozza profonda la fonte sulla collina;
sia fonte di tribù l’assemblea,
sia assemblea regale Temáir,
sia Temáir la collina delle tribù.
E aggiunse: “Sia la nobile Ériu, oscurata da diabolici incantesimi, la casa delle navi dei Milesi. Io ti invoco, terra di Ériu!”
In un istante la tempesta dileguò, il vento e le onde svanirono, e le navi si trovarono a galleggiare su una distesa azzurra e placida. I Milesi si guardarono intorno, sconcertati e sollevati.
Sulla tolda, il giovane Érennán emise un grido e spirò.
Allora urlò l’arrogante Donn: “Dovrà fare i conti con la mia spada chiunque oserà ostacolarmi. Spetta a me sbarcare per primo!”
Ordinò ai suoi uomini di mettersi ai remi, e lui stesso afferrò con rabbia il governale. La sua nave lasciò la formazione e si lanciò verso l’isola. Ma in un attimo, un nuovo infuriare della tempesta, la mandò a fracassarsi contro un isolotto che si ergeva non lontano dalla costa.
“La regina Ériu lo aveva avvertito” mormorò Éber. “A Donn e alla sua discendenza è stato negato prendere possesso dell’isola.”
“Se egli non governerà sui vivi, che almeno regni sui defunti” sospirò Amairgin, lanciando una geis. “Decreto che dopo la morte, le anime degli uomini di Ériu vengano qui, alla Casa di Donn, e che nostro fratello sia il loro sovrano.”
E fu così che Donn, lo Scuro, divenne il signore dei morti.
Obbedendo ai consigli di Amairgin, Éremón ed Éber si spartirono la flotta. Éber rimase a sud con trenta navi, Éremón ripartì con le sue trenta verso nord. Lì, in una baia, vi fu un nuovo naufragio e Colptha, un altro dei fratelli, perse la vita.
In quella stessa insenatura, però, i Milesi finalmente sbarcarono.
Posando il piede destro sul suolo di Ériu, Amairgin cantò:
Io, il vento sul mare,
io, l’onda contro la terra,
io, il fragore del mare,
io, il cervo dalle sette corna,
io, il falco sulla roccia,
io, la stilla nel sole,
io, l’albero più bello,
io, il cinghiale valoroso,
io, il salmone nella pozza,
io, il lago nella pianura
io, il luogo supremo della sapienza,
io, la parola dei poeti,
io, la possente lancia di vittoria;
io, il dio che accende il fuoco alla testa!
Gli uomini di Éremón avanzarono da nord, riunendosi con quelli di Éber che giungevano dal meridione.
Dimenticate le loro promesse, i Túatha Dé Danann si prepararono a respingerli. Il primo scontro ebbe luogo a Slíab Mis, tre giorni dopo lo sbarco, e nella battaglia caddero trecento uomini tra i Gaeli e mille tra i loro nemici. I Gaeli si fermarono il tempo necessario per seppellire i morti, poi intimarono ai tre re di uscire allo scoperto. Mac Cúill, Mac Cécht e Mac Gréine raccolsero l’esercito danann e partirono contro gli invasori. Ad Óenach Tailten avvenne lo scontro definitivo. I tre sovrani dei Túatha Dé Danann rimasero uccisi e pari sorte subirono anche le tre nobili regine che avevano dato il loro nome all’isola.
I Gaeli erano i nuovi signori di Ériu.

Alcuni narrano che, quando i Túatha Dé Danann vennero sconfitti e i loro re uccisi, fu deciso di dividere Ériu in due parti, in modo che ciascuna delle due stirpi ne occupasse una. Fu Amairgin a decidere la spartizione, e i Túatha Dé Danann sottostarono al suo volere. Egli disse che ai Milesi sarebbe toccato tutto ciò che si trovava al di sopra della superficie della terra, e ai Túatha Dé Danann quanto stava al di sotto. Gli dèi si rifugiarono così nei síde, all’interno delle più belle colline di Ériu.
Il Dagda Mór divise i síde tra i Túatha Dé Danann, in modo che ciascuno dei loro capi ne avesse uno su cui regnare. Manannán mac Lir circondò le fiabesche residenze con mura invisibili, affinché fosse possibile vedere dall’interno verso l’esterno ma non viceversa. E fu sempre il cavaliere del mare crestato a istituire il banchetto della vecchiaia, durante il quale i Túatha Dé Danann bevono la birra di Goibniu che mantiene giovani e preserva dalla malattia e dalla morte. In questa occasione, inoltre, si cibano dei maiali druidici che tornano in vita il giorno dopo, pronti per essere mangiati di nuovo. Nei loro meravigliosi síde, i Túatha Dé Danann vissero da allora una vita di eterna letizia.
La sconfitta subìta dai Túatha Dé Danann per mano dei Milesi non represse i loro poteri, né il loro desiderio di intervenire nelle faccende di Ériu. Dai luoghi del loro esilio, essi si accanivano sui nuovi dominatori dell’isola, distruggevano loro il grano e mandavano a male il latte. I Gaeli furono costretti a stipulare un accordo con il Dagda, e si stabilì che i Túatha Dé Danann, esiliati dalla terra, avrebbero ricevuto venerazioni e offerte dai Gaeli.
Fu così che essi divennero i loro dèi.

Dal libro “Agenzia Senzatempo. Viaggio irreale nell’Irlanda Celtica“, di Dario Giansanti e Claudia Maschio (QuiEdit 2008).
[ Articolo pubblicato il 19/09/10 e scritto da “Holger Danske” ]