
La classificazione canonica linguistica divide il gruppo celtico in insulare, tuttora parlato, e in continentale, costituito di lingue estinte nell’antichità e trasmesse da testimonianze epigrafiche e da onomastica. In realtà la linguistica tradizionale ha basato la classificazione quasi esclusivamente sulle lingue appartenenti al celtico insulare; ciò ha determinato una suddivisione delle lingue celtiche in due gruppi, suddivisione che assume come discriminante il diverso esito della labiovelare sorda indeuropea “kw”. Questa si è evoluta in velare (q) o in labiale (p); di qui la distinzione tra un “q-celtico” (o goidelico) e un “p-celtico” (o brittonico).
Al Goidelico appartiene in primo luogo l’irlandese che ha tra i suoi documenti più antichi le iscrizioni dette ogamiche (dal tipo di alfabeto adoperato) databili al IV secolo dopo Cristo; si distinguono in seguito tre fasi: l’antico irlandese (fino al X secolo), il medio irlandese (dal X al XV secolo), l’irlandese moderno (dal XV a oggi). Lingue goideliche sono poi il goidelico scozzese e la lingua dell’isola di Man, ora estinta.

Il gruppo Brittonico comprende le lingue celtiche originarie della Britannia, ossia il gallese o cimrico, e il cornico della Cornovaglia (estinto questo nel XVIII secolo); inoltre pare ne faccia parte il bretone, parlato nell’estremo nord-ovest della Francia.
A causa della sproporzione esistente tra attestazioni del celtico continentale, scarse e di difficile interpretazione, e fonti del celtico insulare, costituite in gran parte da lingue viventi e portate da una ricchissima tradizione, la grammatica comparata ha operato sostanzialmente sulla base del celtico insulare, che è diventato sinonimo di celtico in generale; ma è evidente che operazioni ricostruttive fondate esclusivamente su questa base non possono che essere parziali, e comunque è da prevedere a priori che parametri classificatori dedotti all’interno del solo celtico insulare (se si eccettua qualche apporto gallico) non possono essere applicati acriticamente al resto delle varietà linguistiche, e, tanto meno, costituire una discriminante fondamentale per l’attribuzione o meno di una data varietà al gruppo celtico. Pertanto il celtico continentale, pur senza perdere di vista il quadro tradizionale, andrebbe visto come un motivo di revisione e ripensamento sulla stessa definizione linguistica di celtico. Nella celtologia tradizionale, il celtico continentale veniva di fatto identificato con il gallico ma negli ultimi decenni rivisitazioni e nuove scoperte hanno ampliato enormemente le fonti galliche e hanno di fatto riscoperti altri due ambiti che hanno restituito per trasmissione epigrafica altre varietà di celtico: l’Iberia, in particolare con le iscrizioni celtiberiche, e l’Italia nord-occidentale con le iscrizioni “leponzie” (e galliche). Il “leponzio” è il nome convenzionale con il quale ci si riferisce alla lingua, notata in alfabeto non latino, di iscrizioni preromane concentrate specialmente sui laghi lombardi, ed è senza dubbio di origine celtica. Anche se va detto che quello del leponzio resta il caso di un celtico di almeno fine VI secolo non ascritto alla galicità storica e anteriore alla gallicità archeologica identificata nel “La Tène”.
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Estratto da “Lingua e scrittura dei Celti” di Aldo Luigi Prosdocimi nel libro “I Celti” di Bompiani (mostra Palazzo Grassi)