I Celti – un popolo indoeuropeo

L’origine dei popoli indoeuropei è stata ed è tuttora motivo di grandi dibattiti tra studiosi, l’interesse per questi nostri antichi avi parte dal lontano XVII secolo, quando i commerci con paesi esotici portarono diverse persone ad intraprendere il lungo viaggio che porta dai paesi europei all’India.  Questi viaggi e commerci permisero la scoperta di un’incredibile somiglianza tra i vocaboli indiani e quelli europei, in particolare latini e greci.  Ciò portò diversi  studiosi, naturalmente soprattutto linguisti, a chiedersi a cosa fosse dovuta questa somiglianza di lingua tra popoli così lontani e diversi che fino a poco tempo prima non erano mai entrati in contatto. 

Nacque così l’idea che in un lontanissimo passato doveva esistere un’unica popolazione da cui in seguito sarebbero nati vari popoli.  All’epoca le conoscenze non erano quelle di cui disponiamo oggi e le discussioni su quale dovesse essere stata la nostra patria ancestrale proseguirono per decenni passando per le più disparate teorie.  Motivo di queste controversia è dovuto ad un fattore che spesso si ritrova anche ai nostri giorni, ovvero la non comunicazione tra diverse discipline scientifiche, infatti se la linguistica può rivelare parentele tra diversi nuclei, è l’archeologia che è in grado di fornire datazioni e legami tra un popolo ed il suo territorio, fu così che il sito di origine passò dalla stessa India, in quanto si riteneva che il sanscrito fosse la lingua più antica e quindi originaria, ai paesi baltici quali la Lituania, in quanto gli indoeuropei erano biondi con occhi azzurri caratteristiche fisiche tipiche degli abitanti di quella zona, il che automaticamente esclude la stessa India. 
 Teorie destinate a cadere in quanto prive di fondamento, il sanscrito non è la lingua più arcaica, mentre la Lituania sarà anche la patria del capello biondo con occhio azzurro, ma è altrettanto vero che gli indoeuropei erano dolicocefali, mentre i lituani  brachicefali; ma soprattutto l’idea di un indoeuropeo biondo con occhio azzurro venne dalla descrizione che greci e romani fecero di popolazioni quali i Celti ed i Germani, ma il ragionamento non tiene conto del fatto che li stessi greci e romani sono di origine indoeuropea.

Dalla Lituania si passò alla Scandinavia e la motivazione  fu che la popolazione locale è altrettanto bionda e che vi era un termine indoeuropeo per indicare l’albero del Faggio “Bhagos” ed uno per indicare il mare “mori”; tali fattori sono effettivamente comuni in Scandinavia, ma è altrettanto vero che non vi è la certezza che quei termini indichino proprio il faggio ed il mare. 
Infatti nella storia dell’uomo, quando esso emigra trova specie animali e vegetali nuove e nel tentativo di darle un nome usa un termine a lui conosciuto e che gli ricordi l’oggetto in questione, oppure se vi è una popolazione autoctona sul territorio, prende a prestito il nome da loro utilizzato. La prova di questo viene proprio dall’esempio del Faggio, infatti il termine bhagos indica varie specie di alberi in diverse zone; accade così che in Grecia indichi il rovere, in russo significa salice e in curdo, lingua indoeuropea del gruppo iranico, olmo, sebbene si tratti più verosimilmente di un prestito al curdo da una lingua slava.

Mentre per quanto concerne il mare, dal termine indoeuropeo “mori” derivano il latino e l’italiano mare, il francese mer, il castigliano mar, marei in germanico gotico, in lituano marè ed in antico irlandese muir; ma ciò non significa che avesse il significato che oggi gli attribuiamo, in quanto questo termine non esiste nelle lingue indoeuropee asiatiche, quindi poterebbe essere un termine nuovo aggiunto utilizzando un termine preso dalle popolazioni autoctone, tant’è che se così fosse sapremmo che la terra d’origine non era sul mare, proprio per la mancanza di un termine per indicarlo. 
Così come more avrebbe potuto indicare altro, magari lago, per cui una popolazione che non ha mai visto il mare, arrivandoci usa il termine per indicare una grossa massa d’acqua, proprio come un lago. 
Esempi che avvallano questa teoria non mancano, infatti possiamo ritrovare il termine mori nelle parole ittite marmara col significato di palude e Marrasanta che era il loro principale fiume, così come per il nome attuale del fiume Moravia. 

Nel XX secolo un ricercatore tedesco di nome G. Kossinna, fece degli  studi sulla preistoria tedesca e  stabilì nel 1902 che la patria ancestrale degli indoeuropei dovesse cercarsi nella zona che va dal nord della Germania al sud della Scandinavia, da questo ragionamento a cui per decenni nessuno studioso tedesco si oppose, si sviluppò la futura ideologia razzista della razza pura tanto cara al nazismo. 
Un altro e più significativo elemento conosciuto già agli albori dell’archeologia linguistica è la conoscenza della pastorizia degli indoeuropei, il che portò diversi studiosi a credere  che  fossero popolazioni nomadi che praticavano l’allevamento. 

Questo modo di pensare però ha un vizio di forma, ovvero pensavano che si trattasse di popolazioni nomadi in quanto le confrontavano con altre popolazioni nomadi ancora presenti nelle steppe della Mongolia, questo finché nel 1922 un ricercatore di nome Giles fece notare che esistevano anche termini indicanti una conoscenza agricola, anche se ciò non poteva ancora bastare in quanto esistono tipi di colture compatibili col nomadismo; quindi per smentire definitivamente la teoria nomade Giles portò a suo favore termini indoeuropei che indicavano casa, villaggio e cittadella fortificata. 
Da ciò dedusse che gli indoeuropei erano allevatori stanziali, il che ha una rilevanza importante in quanto si doveva cercare, come patria ancestrale, un territorio pianeggiante che consentisse l’agricoltura con i mezzi rudimentali del periodo e grandi quantità di pascoli.  Giles identificò la pianura ungherese chiamata Pannonia, secondo lui tale ubicazione poteva spiegare anche la facilità migratoria degli indoeuropei, i quali utilizzavano la rotta segnata dal Danubio. 

Verso la fine del ‘900 si ipotizzò come probabile sede di origine le steppe al sud della Russia, a suggerirlo fu O. Schrader, che in seguito fu appoggiato da altri studiosi; la conformazione geografica si adatta ma purtroppo le uniche prove apportate sono di tipo linguistico, continuano a mancare le prove archeologiche. 

La svolta avvenne con l’archeologa, lituana di nascita e americana di adozione, Marija Gimbutas, la cui tesi è tutt’ora la più apprezzata, anche se non mancano oppositori che si basano su recenti scoperte.  La Gimbutas trovò reperti archeologici che confermavano l’archeologia linguistica, inoltre spiegò e datò le varie ondate migratorie. Confermò le steppe a sud della Russia come focolare di partenza, in loco fece personalmente degli scavi in zone abitate da un popolo chiamato cultura dei Tumuli, che lei preferì chiamare cultura  Kurgan  utilizzando un termine slavo. 

La cultura Kurgan si sviluppò intorno al V millennio a.C., dimostrando un’innata tendenza all’espansione, la quale portò in varie ondate, riassumibili in tre periodi, allo spostamento di notevoli quantità di persone, spostamenti tutti documentabili archeologicamente. 
La prima ondata è databile tra il 4400 e 4200 a.C. e coinvolse la zona danubiana e balcanica, il che spiega anche perché alcuni studiosi presero in considerazione i balcani come patria di origine, ovvero il territorio in cui vi erano i reperti più antichi di origine indoeuropea. 
La seconda ondata si verificò tra il 3500 ed il 3000 a.C., interessando la zona transcaucasica, l’Iran e parte dell’Anatolia, mentre tra il 3400 e 3200 a.C. si verificò una seconda incursione in Europa centrale. 
La terza ondata databile tra il 3000 ed il 2800 a.C. interessò l’Egeo e l’Adriatico. 
In precedenza si è visto come la ricerca della patria di origine fosse stata influenzata dall’idea che i primi indoeuropei fossero nomadi, mentre gli oppositori a questa tesi affermavano che dovevano essere stanziali in quanto conoscevano l’agricoltura ed esistevano termini indicanti abitazioni e villaggi fortificati: ora sappiamo che la realtà sta proprio nel mezzo. 
Infatti il popolo Kurgan era seminomade, creava villaggi ed alture fortificate ma di norma però viveva in case semisotterranee, di semplice costruzione in modo che si potessero abbandonare e ricostruire facilmente. 
Queste caratteristiche, unite all’utilizzo del cavallo, fecero sì che i Kurgan avessero una rapidità di movimento tale da poter percorrere in breve tempo  parecchie distanze, infatti le tre ondate sopraccitate sono momenti di emigrazione eccezionalmente ampia, tanto da poter essere ricostruiti, ma in realtà è plausibile che i movimenti migratori siano stati continui. 

Da ciò si desume che l’Europa è figlia di millenni di mescolanza fra razze e lingue difficilmente districabili, il che complica l’analisi atta ad identificare la linea diretta di discendenza tra i popoli storici di origine indoeuropea e le varie ondate migratorie. 
Difficile sì ma non impossibile,  ad esempio è difficile che la loro lingua sia erede della prima ondata migratoria del V millennio a.C., per due motivi fondamentali: l’evoluzione della loro lingua originale nel corso dei secoli come normalmente avviene per qualsiasi linguaggio e le successive ondate migratorie di altre popolazioni indoeuropee durate duemila anni. 
E’ probabile che i popoli indoeuropei storici, ovvero celti, latini, germani, slavi, illiri ecc.siano eredi dell’invasione avvenuta nel IV millennio e documentata, o addirittura di migrazioni più recenti e di minore portata
Zone quali il nord della Germania o la Scandinavia furono addirittura colonizzate in un secondo momento da gruppi centroeuropei già fortemente mescolati tra loro. 

Da qui deriva la credenza che gli indoeuropei dovessero essere biondi, in realtà non è così, il capello biondo con occhi azzurri erano caratteristiche somatiche tipiche delle popolazioni autoctone del nord Europa, sopravvissute in quanto il miscuglio razziale non fu massiccio ed avvenne con popoli loro stessi nati dal mix indoeuropeo e autoctono, da cui discendono anche celti e germani. 

(tappe delle varie ondate migratorie e datazione e origine dei popoli storici)

 Va anche aggiunto che non tutte le zone vennero toccate dall’immigrazione indoeuropea, infatti la Finlandia e la zona dei Pirenei rimasero immuni come testimoniato dalla loro lingua, il finnico ed il basco che non sono di origine indoeuropea.  Un’ espansione tanto massiccia quale quella indoeuropea fa dedurre che si trattasse di un popolo guerriero, dotato di buone armi e di tecniche militari, però questo ragionamento pecca di riscontro, infatti non vi sono termini che indichino la guerra, tecniche militari o armi, a parte quello indicante la spada, ma che è lo stesso indicante il coltello scarificale. 
Ciò non mette in dubbio la loro attitudine guerresca, in quanto tutti i popoli da loro discendenti spiccano per bellicosità, così come dai loro racconti, siano essi inerenti all’India Vedica, ai poemi omerici e celtici, o all’epica germanica, traspare una società in cui erano forti il senso di onore, fedeltà e la ricerca dell’eroismo.  Va anche aggiunto che se anche non vi sono termini militari conosciuti, vi sono reperti archeologici di armi che indicano quanto fosse considerata la classe guerriera, come testimoniato ad esempio dalle tombe Hallstattiane

Un importante fattore  militare che pesa a favore degli indoeuropei rispetto ad altri popoli fu l’uso del cavallo, già addomesticato nel V millennio nelle steppe a sud della Russia,.  E’ difficile che sia stato utilizzato da subito per scopi bellici dato che il morso non era ancora stato inventato e senza è estremamente  difficile poter utilizzare armi e contemporaneamente manovrare il cavallo, anche se indubbiamente rispetto ad un soldato appiedato è pur sempre un vantaggio, almeno dal punto di vista della rapidità di movimento.  Il morso fu inventato intorno al 2000 a.C., ma già prima vi era  un sistema per utilizzare il cavallo in battaglia, infatti tra le invenzioni da annoverare agli indoeuropei vi è il carro.  Tale invenzione è molto antica, anche se originariamente è risultato difficile un suo utilizzo in battaglia, i primi carri avevano le ruote piene e questo li rendeva molto pesanti e  poco agili, probabilmente venivano utilizzati i buoi per il traino ed era limitato a funzioni di trasporto, ma col passare del tempo e l’invenzione dei raggi divenne una micidiale arma da combattimento largamente utilizzata.  Anche così però il carro non era ancora perfezionato, infatti in battaglia l’esigenza di rapidità è primaria, più il carro è leggero più questa qualità è garantita e questo si ottenne con l’invenzione del carro a due ruote
 Il carro da guerra è stato utilizzato un po’ da tutti, anche se molti popoli prediligevano combattere a dorso di cavallo con l’utilizzo del morso, avvenne così che anche all’interno della grande famiglia indoeuropea si vennero a creare differenze tra popoli quali gli ittiti, gli indiani ed i greci che predilievano il carro, mentre latini, celti, germani ed iranici utilizzavano per lo più il cavallo. 

 Un altro dato importante per conoscere gli indoeuropei è la loro religione, argomento tutt’ora sottoposto a diverse controversie tra ricercatori; motivo di tali discussioni sono la mancanza di termini per indicare varie divinità ed usanze.  Si conosce soltanto il nome “Deiwos, da cui già si capisce la linea di discendenza che porterà ad utilizzare i termini indicanti il Dio padre nelle varie culture, in greco Zeus, il latino Diovis che diverrà Giove, Deva in indiano ed il nostro attuale Dio e Deiwõs che è il suo plurale, ovvero Dei.
Gli esempi di discendenza fatti sono riferiti tutti a divinità paterne e questo ha ovviamente un suo perché, infatti bisogna tenere in considerazione la patria ancestrale indoeuropea, ovvero le steppe e se pensiamo a come potevano vivere dei pastori  più di 5000 anni fa in quei luoghi possiamo capire alcune fondamentali cose. 
 I Kurgan vivevano in balìa degli agenti atmosferici,  pastori che sono con le mandrie al pascolo, in una sterminata pianura senza protezioni naturali, senza alcun riparo dalla pioggia, dal sole rovente o dagli uragani; tutti fenomeni provenienti dall’alto e che li hanno portati a  credere in Dei atmosferici ubicati in cielo.
 Infatti pare che il termine Dyèus voglia dire volta celeste, non nel senso metaforico oggi utilizzato ma proprio in senso fisico, quindi gli agenti atmosferici che da lì provengono devono essere per forza i suoi figli, da qui il termine Deiwos. 
 Alcuni imminenti studiosi, tra cui il più famoso è Dumèzil, ipotizzano che il pantheon divino dovesse essere il riflesso delle varie funzioni sociali, ovvero la famosa tripartizione indoeuropea; tale tesi è  però fortemente contestata in quanto non vi sono prove che i Kurgan avessero divinità della guerra, della fertilità o di saggezza.  Dumèzil deduce ciò confrontando le credenze religiose ed il loro pantheon in tutti i popoli di origine indoeuropea e costatando la similitudine tra essi e la presenza della già citata tripartizione.  Se è per questo non vi sono prove o termini indicanti dei sacerdoti, ma Dumèzil ipotizza che esistesse una casta chiusa che si occupasse delle funzioni religiose che per l’epoca significa il cercare di avere condizioni climatiche favorevoli.  Ovviamente le offerte vanno mandate alle divinità ed essendo esse in cielo quale mezzo migliore se non il fuoco?  Oggetto di offerte erano quelle cose che garantivano la vita stessa della popolazione, ovvero il bestiame, in particolar modo pecore, maiali e tori.  Sia il fuoco, sia i sacrifici dei tre animali citati sono abbondantemente sopravissuti nei popoli storici. 

 Comunque una caratteristica importante per capire quale fosse la loro credenza l’abbiamo, infatti attraverso le loro tombe siamo in grado di stabilire ciò.  I Kurgan sono conosciuti come il popolo della cultura dei tumuli, nome dato per l’utilizzo di tombe a imitazione di abitazioni in cui il corpo del defunto veniva lasciato insieme a ricchi corredi.  Tali corredi comprendevano le armi, gli attrezzi del mestiere, ornamenti, capi di bestiame ucciso, in seguito presso alcuni popoli da loro discesi, anche le mogli, gli schiavi ed eventuali concubine.  Ciò ci fa capire tre cose principali, la prima è che al contrario dei neolitici, gli indoeuropei erano divisi in caste e le condizioni sociali avute in vita proseguivano anche nell’aldilà, il secondo punto è per l’appunto la credenza che una volta morti lo spirito vada in un altro mondo, il terzo è che  questo mondo sia ad immagine del modo reale, però senza i fattori negativi delle malattie, della sofferenza ecc., quindi se lo spirito deve andare in un altro mondo è bene che si porti dietro il necessario per poter proseguire il suo stato sociale e di benessere acquisiti. 

 La differenza con la società neolitica è abissale, loro non avevano differenze sociali, avevano in gran conto la vita e quindi non veniva ucciso nessuno per far compagnia il defunto e le tombe erano delle fosse nel terreno poco profonde e di forma ovale.  Questo perché i neolitici credevano nella reincarnazione, da buona società agricola pensavano che l’uomo seguisse lo stesso ciclo di vita, morte e rinascita presente in natura sia nelle stagione che nelle piante; il corpo ormai privo di anima veniva restituito alla madre terra, seppelliti persino in posizione fetale.  Comunque va aggiunto che non sempre gli indoeuropei utilizzavano l’inumazione per i loro morti, hanno spesso abbracciato l’usanza dell’incenerimento, questo perché se gli Dei sono in cielo e lo spirito va da loro, il fuoco può aiutare a raggiungerli salendo su così come fa il fumo.  In questo altalenare fra cremazione e inumazione vi sono anche tracce di una via di mezzo, ovvero il corpo veniva cremato e le ceneri riposte in urne a forma di casa e poi seppellite. 

 Un altro fattore comune a diverse popolazioni di origine indoeuropea è il fatto che l’anima non passa immediatamente da un mondo all’altro, ma passa un certo periodo di tempo in cui il defunto deve compire il tragitto tra i due mondi, tragitto non privo di ostacoli, uno su tutti l’acqua, da cui deriva la figura di Caronte.  

Si è detto che gli indoeuropei ed i popoli da loro discesi fossero abili guerrieri che avevano in gran conto sentimenti come l’onore, la fedeltà ecc., tutti fattori che farebbero dedurre che si trattasse di popolazioni fondate su una società di tipo patriarcale, però solo questi fattori non basterebbero a stabilire ciò, anche in questo caso ci viene incontro l’archeologia linguistica, la quale è riuscita a risalire a termini indicanti i vari membri della famiglia. 
 La scoperta più sensazionale è che tali vocaboli sono numerosi, vi sono termini indicanti il padre, la madre, i nonni, i figli sia maschi che femmine, zii, nipoti, suocero, suocera e nuora, tutte terminologie che si sono tramandate nella nostra lingua.
 Per indicare il padre si usava il termine pater, questo però valeva per gli adulti, infatti la terminologia indoeuropea è talmente ricca da avere un termine per padre ad uso dei bambini, ovvero atta o tata, mentre per madre il termine adulto è mater, che per bambini diventa mà, spesso riferito in modo duplice col termine màma.  Per figlia si desume che il termine originale sia dhug(h)eter, figlio è sunus, fratello è bhrater, sorella è swesor, nonno awos ecc.
 Non starò a fare tutto l’elenco in quanto sterminato, mi limiterò a dire che questi termini hanno una particolare caratteristica, sono riferiti tutti ai parenti del marito.  Ad esempio, quando parliamo di fratello “bhrater”, ci riferiamo al fratello di lui, non esistono terminologie che indicano la parentela di lei, ciò è una prova inconfutabile che la società indoeuropea era patriarcale e che una donna quando si sposava abbandonava la sua famiglia originale per entrare a tutti gli effetti nella famiglia di lui. 

L’economia indoeuropea non era certo ricca, a parte una minima quantità di coltivazione agricola era basata principalmente sull’allevamento del bestiame, anche la metallurgia non era molto praticata, basti pensare che vi era in origine un unico termine “ayos”, indicante i minerali in genere, essi utilizzavano ancestralmente la pietra levigata ed il rame,  solo più tardi scoprirono gli altri minerali tra cui l’argento e l’oro.  Dai ritrovamenti nelle tombe delle steppe si  deduce che non avevano una particolare vocazione per l’arte, ma probabilmente  più per scelta che per incapacità.  Avevano sviluppato già in tempi ancestrali una forma di letteratura, ovvero un’epica da cui derivano l’epica indiana e quella celtica e germanica, ovviamente un’epica nata per essere recitata e trasmessa per via orale; i poeti erano tenuti in gran considerazione in quanto depositari della tradizione del popolo, caratteristica che ritroveremo i Grecia, ma più ancora nei Bardi celtici. 

 Un’ultima caratteristica da citare riguardo gli indoeuropei è che già ai tempi delle steppe a sud della Russia, V millennio a.C., avessero sviluppato un certo piacere per le bevande alcoliche, infatti i Kurgan sono stati probabilmente i primi inventori dell’idromele, (bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del miele) questo perché si trovavano in territori ricchi di api e avevano  imparato ad allevarle e probabilmente  questa era la sola bevanda alcolica di cui disponevano. 

[ Articolo pubblicato il 22/02/06 e scritto da “Asgard” ]

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