
Dopo molte battaglie contro i Romani, Vercingetorige fu costretto a ritirarsi nella città fortificata di Alesia, preparandosi a sostenere un lungo assedio.
Nessuno sa esattamente dove sia collocata questa città ma alcuni l’ hanno identificata in Alaise, piccola località della Francia; per altri invece, sorgeva lungo la Senna nei pressi di Alaise-Sainte-Reine.
Qui infatti, tra il 1861 e il 1865, alcuni scavi riportarono alla luce una moltitudine di ossa di uomini e cavalli, monete e moltissime armi.
In più si trovarono le tracce di un grosso fossato che circondava quella che probabilmente doveva essere stata una cittadella fortificata.
La descrizione che Cesare ha lasciato di Alesia (nel De Bello Gallico) è tra l’altro molto dettagliata: situata in cima a un colle posto alla confluenza tra due fiumi, aveva di fronte un pianoro lungo 3 miglia mentre ai lati era circondata da colline.
Per cingerla d’assedio i Romani edificarono una fortificazione lungo la quale posero a guardia 23 fortezze vigilate tutto il giorno da sentinelle.
A 400 metri di distanza Cesare fece scavare un fossato di 6 metri circa, poi altri 2 larghi 5 il più interno dei quali fu riempito d’ acqua.
Dietro ad essi costruì un terrapieno fortificato alto 4 metri e dotato di rostri e plutei sporgenti per ostacolare una possibile scalata dei nemici.
Chi fosse riuscito a passare, o si sarebbe infilzato sui tronchi appuntiti posti a gruppi di 5 in fosse profonde un metro e mezzo, oppure sarebbe morto nelle trappole che, accuratamente nascoste da fascine di rami, celavano buche ricolme di altri tronchi d’ albero appuntiti.
Davanti a questi trabocchetti, i Romani piantarono in terra un gran numero di pioli di ferro uncinati, e intorno alla fortificazione schierarono una moltitudine di micidiali macchine da guerra.
Nel frattempo i Galli preparavano uncini, rampini e scale per attaccare la linee romane una volta che fossero giunti rinforzi.
E a tempo debito gli aiuti arrivarono: un’armata gallica che, secondo Cesare, contava più di 250.000 Galli.
Ma risultava molto difficile a Vercingetorige coordinare gli attacchi di quelli che erano interni alle mura e di coloro che ne erano al di fuori.
Così tutti i tentativi di assalto ai Romani non ebbero alcun esito se non quello di aggravare le perdite; finché non si giunse allo scontro finale.
Le truppe galliche uscirono improvvisamente dall’accampamento ma furono sopraffatte dalla cavalleria nemica che fece una gran strage uccidendo anche alcuni personaggi importanti tra cui Sedulio, capo dei Lemovici.
Gli assediati dall’alto, vedendo compiersi il massacro, perdettero ogni speranza di salvezza e ritirarono ciò che rimaneva dell’ esercito.

Il giorno dopo Vercingetorige, convocati i suoi a consiglio, chiese loro di decidere: ingraziarsi i Romani uccidendolo, oppure consegnarlo vivo.
Si scelse la seconda soluzione e così il re degli Arveni si recò a cavallo e con la sua migliore armatura a rimettere la sua vita in mano a Cesare in cambio della grazia del suo popolo.
Ma il comandante romano non era di umore compassionevole: diede i guerrieri in schiavitù ai propri legionari e inviò Vercingetorige in una prigione a Roma.
Dopo 6 anni Cesare celebrò il suo trionfo conducendolo in catene davanti al suo carro, prova vivente dell’assoggettamento della Gallia, e poi, come era tradizione per i capi nemici portati in trionfo, lo fece giustiziare.
Come voleva Cesare, fu una fine umiliante per il più grande capo gallo ma Vercingetorige non venne mai dimenticato dal suo popolo e ancora oggi è riconosciuto come il primo eroe nazionale della Francia e la sua eroica sfida alla superpotenza romana è ancora molto sentita dai francesi.
BIBLIOGRAFIA:
- Philip Matyszak, I grandi nemici di Roma Antica (Newton & Compton Editori)
- Elena Percivaldi – I Celti. Una civiltà europea (Giunti Editore)