Indoeuropeo: 3 – Ipotesi sulle origini / III parte

3.4 – Ipotesi di Cavalli-Sforza

Luca Cavalli-Sforza avanza la possibilità che le due precedenti ipotesi possano essere almeno parzialmente conciliate. Secondo questa variante i popoli Indoeuropei potrebbero essere originati dalla mescolanza tra gruppi umani di tipo Cro-Magnon già presenti in Europa e che vanno sotto la denominazione di “popolazioni di Sredny-Stog“, sopravvissute all’ultima glaciazione di Wurm nelle aree del Ponto settentrionale, e popolazioni neolitiche di tipo mediterraneo già in possesso delle tecniche agricole nelle sedi della Russia Meridionale intorno all’8.000-7.000a.C. e provenienti dall’Anatolia.

Questa proposta è coerente con la “teoria del doppio strato” proposta da Uhlenbeck per il protoindoeuropeo. Per quest’ultimo, l’antica lingua comune sarebbe il risultato di un’arcaica “commistione tra una lingua di tipo ugrofinnico e una affine al Basco“.

3.5 – Ipotesi della “continuità paleolitica” – M. Alinei

Secondo una recente teoria di Mario Alinei gli Indoeuropei potrebbero essere identificati con stessi popoli autoctoni europei presenti in Europa già 40.000 prima della nostra era, epoca corrispondente alla comparsa sul vecchio continente dell’uomo moderno. Semplicemente indicata come PCT, acronimo composto dai termini inglesi Paleolithic Continuity Theory esprimerebbe dunque i principio secondo il quale il protoindoeuropeo sarebbe, in termini più semplici, la lingua delle tribù di Homo Sapiens pervenute in Europa dal Medio Oriente alla fine del paleolitico superiore.

Questa ipotesi non trova però molto riscontro presso la comunità scientifica per diverse motivazioni e per ovvie ragioni è rifiutata dalla maggioranza degli Indoeuropeisti. Essa tra le altre cose non giustifica in misura convincente l’affermazione relativamente improvvisa delle famiglie linguistiche indoeuropee come ancor più significativamente non fornisce spiegazioni relativamente alla presenza di quelle non indoeuropee quali il Basco o la ormai estinta lingua Iberica.

Inoltre coloro che sostengono la teoria della continuità paleolitica fanno risalire al paleolitico anche differenze linguistiche che sono spiegate in maniera più convincente se messe in relazione ad eventi storici noti e di gran lunga più recenti.

In relazione alla patria originaria degli Indoeuropei e al centro di irradiazione delle lingue da essi parlate, nessuna delle teorie attualmente proposte è ritenuta in grado di spiegare tutti i dati.

La teoria dell’espansione calcolitica avente origine dalla regione uralo-pontica appare solida, ma su di essa pesano le critiche di Renfrew.
Quella dell’espansione neolitica sembrerebbe mostrare a proprio favore una serie di dati indiretti, ma non è per nulla esente da contraddizioni.
Tuttavia vi sono una serie di proposte teoriche che indicano una soluzione in grado di tenere in considerazione tutti i dati. 

3.6 – Ipotesi sulle “cause migratorie” – W.B. Ryan e W.C. Pitman

È un’ipotesi recente formulata nell’intento di spiegare la causa della migrazione indoeuropea e si fonda sulla convinzione di un improvviso allagamento dell’area attualmente occupata dal Mar Nero.

Questo evento repentino sarebbe stato causato dallo scioglimento dei ghiacciai, avvenuto in conseguenza del ripristino della corrente del Golfo che in pochi anni avrebbe liberato il Mare del Nord dai ghiacci dell’ultima era glaciale. Il livello dei mari sarebbe quindi salito in maniera abbastanza improvvisa ed il Mediterraneo straripando avrebbe allagato una vasta depressione dando origine all’attuale Mar Nero. Tale fenomeno avrebbe costretto le popolazioni ivi residenti, tra cui forse i primi Indoeuropei a migrare in zone sicure.

Sempre secondo Ryan-Pitman l’evento fu tramandato nella produzione letteraria ed in quella mitologica di varie popolazioni e noto ancor oggi come “diluvio”.

L’Ipotesi elaborata da Ryan e Pitman non è condivisa da tutti gli studiosi che si occupano della questione indoeuropea ed altrettanto non si può sostenere che lo sia largamente negli ambienti scientifici interessati allo studio degli eventi geologici.

Dal punto di vista dell’archeologia non è accettabile per quanti rifiutano il principio per cui in corrispondenza della fine dell’ultima glaciazione gli Indoeuropei fossero un’entità già definita sul piano linguistico e culturale.

È al massimo ammissibile che il mito del diluvio sia entrato a far parte del patrimonio culturale indoeuropeo per tradizione orale, conservato da popolazioni più antiche che furono testimoni dell’avvenimento o di altri simili fenomeni postglaciali.

3.7 – Teoria del doppio strato – C.C.Uhlenbeck

Intanto occorre effettuare un’importante precisazione: lo studio della lingua protoindoeuropea porta alla constatazione inevitabile che tale lingua possa dare indicazioni culturalmente in contraddizione tra loro.

Ciò è ragionevole oltre che frequente in quanto quello protoindoeuropeo deve essere considerato un diasistema, ovvero, non una lingua unica e cristallizzata, ma un insieme di dialetti fortemente affini, diffusi in vasti territori, per quanto circoscritti, e caratterizzati da varianti diatopiche, cioè varianti linguistiche locali compresenti in uno stesso periodo storico.

È inoltre ormai diffusa l’opinione di una molteplicità di strati del protoindoeuropeo e connesso a questa opinione è il decadere del problema della Urheimat. Nella forma più radicale, questa teoria dallo sviluppo lungo e complesso, si realizza nella teorie detta “del doppio strato” elaborata da Christianus Cornelis Uhlenbeck nel 1935 e secondo la quale il protoindoeuropeo deriverebbe da una creolizzazione, ovvero dalla fusione di lingue eterogenee, generata dall’incontro di popolazioni preistoriche differenti.

Un’ipotesi affine è stata recentemente riproposta da Frederik Kortlandt ed analoghe erano già state avanzate anche da Nikolaj Serge’vič Trubeckoj e Antonio Tovar Llorente, che considerarono la possibilità di includervi anche contributi semitici.

3.8 – Teorie quasi-nostratiche

A partire dalla considerazione dell’esistenza di una superfamiglia preistorica, è impossibile ignorare che l’Ugro-Finnico si dimostri, tra le altre famiglie linguistiche, quella che senbra presentare la più cospicua serie di somiglianze sistematiche con l’Indoeuropeo. Da questa osservazione prende spunto l’ipotesi dell’Indo-uralico di Björn Collinder e Holger Pedersen, antesignana di quella nostratica.

È opportuno ricordare anche gli sforzi dello stesso Pedersen, di Piero Meriggi e Luigi Heilmann che giunsero a formulare l’ipotesi dell’Indo-Semita, per la quale la macro-famiglia sarebbe costituita dall’Indoeuropeo e dal solo ramo semitico dell’Afro-asiatico. Analoghe tesi erano state effettuate in precedenza da Hermann Møller, anche sulla base dell’ipotetica presenza delle laringali, Albert Cuny, e autonomamente da Graziadio Isaia Ascoli.

3.9 – Datazione secondo modello stocastico – R. D. Gray e Q. D. Atkinson

In relazione alle varianti diastratiche intuibili nella protolingua, cioè alle differenze rilevabili in funzione delle molteplici e diverse influenze che hanno agito all’interno del processo di stratificazione, sta aumentando il numero degli studiosi interessati ad una forma teorica meno radicale cioè, quella di una prima irradiazione neolitica del protoindoeuropeo a partire da un territorio prossimo ai luoghi nei quali l’agricoltura è stata scoperta e sviluppata, seguita da un evento migratorio più tardo e ritenuto coincidente alla manifestazione culturale della civiltà dei kurgan e che deve avere coinvolto un gruppo estremamente ampio di tribù indoeuropee. In questa direzione procede la teoria degli studiosi neozelandesi Russell D. Gray e Quentin D. Atkinson che hanno riesumato, perfezionato e riproposto il metodo della glottocronologia,

Tale metodo permetterebbe di calcolare, per mezzo di dati linguistici interni, il momento corrispondente alla separazione tra due o più lingue affini attraverso lo sfruttamento di metodi statistici.

A partire dal un vocabolario fondamentale costituito da un gruppo di 200 parole del lessico di base delle lingue prese in considerazione vengono confrontate le evenienze di sostituzione dei vocaboli e da ciò, statisticamente, rilevato il punto temporale nel quale queste lingue si devono essere differenziate in misura significativa e determinante.

I risultati dell’applicazione di questo sistema portano per l’ultima fase unitaria dell’indoeuropeo, quella anatolica, una data corrispondente a circa 8000 anni fa, correlata con l’introduzione dell’agricoltura in Europa e un’ulteriore separazione, definibile come una vera e propria diaspora, circa 5-6000 anni fa, in corrispondenza dell’inizio della cosiddetta invasione calcolitica.

Tenendo conto del rapporto esistente tra l’ittita e il proto-hattico, significativo del rapporto fra una lingua rituale preesistente e una propria della popolazione dominante dopo un’invasione, si dovrà tuttavia, in linea di massima, rinunciare all’idea che lo stesso ittita sia originario dei luoghi nei quali lo si ritrova in età protostorica, premessa che è invece indispensabile per coloro che sostengono la tesi di una patria originaria in Turchia.

3.10 – Proposte alternative

Sono stati molti i tentativi, più o meno apprezzabili, di collegare l’Indoeuropeo con altre lingue secondo modelli non riconosciuti dagli indoeuropeisti.
In breve, sono state proposte connessioni con le seguenti lingue:

1 – il Sumero. Ipotesi proposta da Charles Autran negli anni venti ed esclusivamente basata su alcune somiglianze lessicali come per il sumero agar “campo” ed il latino ager, il sumero buru, “frutto” ed il latino frux, il sumero dam, “sposa” ed il greco δάμαρ, “dàmar”, ecc.

2 – l’Ainu. Tra le similitudini rilevate vi sono quelle relative all’Ainu tu, “due”, e l’indoeuropeo *dwō. L’Ainu wa e -awa, suffissi di participio, sono confrontati con l’indoeuropeo *weswosus suffisso di participio passato. L’Ainu tan, “questo“, con l’indoeuropeo *to. L’Ainu ku, “io“, con l’indoeuropeo *egō. L’Ainu un, “noi“, con l’indoeuropeo *ns. In totale le somiglianze sono state portate ad oltre 450 da Pierre Naert in relazione al Coreano.

3 – l’Eschimese. Anche Holger Pedersen è stato tra coloro che hanno avvicinato questa lingua all’indoeuropeo.

4 – il Cinese. Secondo l’ipotesi di Hans Jensen in relazione alle similitudini che riguardano il Tocario.

5 – l’Etrusco. Per quanto sostiene ipotesi di Francisco R. Adrados, ma anche secondo l’ipotesi della sotto-famiglia indotirrenicadell’Eurasiatico.

6 – il Berbero e l’Egiziano antico. Ma nessun risultato accettabile è stato raggiunto, come già ricordato, nel tentativo di ricondurre le lingue indoeuropee e quelle semitiche ad una comune origine.

7 – il Kartvelico, lingua del gruppo meridionale delle lingue caucasiche.

8 – le lingue caucasiche occidentali secondo l’ipotesi del Proto-pontico di John Colarusso formulata nel 1997

3.11 – L’ipotesi critica di Semerano

Giovanni Semerano, criticò il modello linguistico indoeuropeo affermando che l’Indoeuropeo è una lingua interamente ipotetica definendola “…congetturale e utile soltanto come modello ausiliare di riferimento statistico…”, mentre, riferendosi alle somiglianze reali tra le lingue indoeuropee e le antiche lingue Mesopotamiche, quali il semitico accadico e il più antico sumero, che secondo la sua indagine lessicale parrebbero strettamente legate alle lingue indoeuropee, risulterebbe più produttivo per la scienza linguistica, approfondire tali affinità reali piuttosto che insistere su un’ipotesi congetturale che ha finito per isolare le lingue indoeuropee dal resto delle lingue umane storicamente contigue.

La proposta di Semerano non è quella di sostituire il protoindoeuropeo con le lingue semitiche in una limitativa definizione genealogica che ritiene avere un’importanza relativa.

Egli si arrocca sul principio che tutte le varianti linguistiche della lingua umana siano tra loro collegate e da ricondurre ad un contesto unitario che non preclude le specificità di ogni variante linguistica né le loro affinità famigliari. Per tale ragione anche l’indoeuropeo o protoindoeuropeo deve essere ricondotto nel contesto della lingua umana reale senza “…restare sospeso in un limbo senza terra e senza uomini…”.

Quanto sostiene Semerano appare in verità alquanto scontato. È ovvio che vi siano somiglianze oltre che legami parentali tra i differenti tipi linguistici del pianeta, il che comunque non significa che abbiano tutti lo stesso peso e la medesima riconoscibilità, anche da un punto di vista quantitativo, dal momento che non hanno naturalmente la stessa antichità.

Se anche egli ha realmente colto somiglianze tra Indoeuropeo ed altre famiglie linguistiche quali la famiglia afro-asiatica o il Sumero, non gli è possibile negare che tali somiglianze siano più remote, o distanti, rispetto quelle che mantengono tra loro le lingue della famiglia indoeuropea, come accade per quelle della famiglia semitica e per quelle appartenenti a qualsiasi altra. Si tratta semplicemente di accettare l’idea che la comparsa dell’Indoeuropeo ha rappresentato il momento preciso di origine di un tipo linguistico particolare che ha generato linguaggi tra essi imparentati più di quanto non lo possano essere nei confronti di altri.

Questo ragionamento, del resto abbastanza semplice, deve ovviamente essere applicato a qualunque famiglia linguistica.

3.12 – Conclusioni

Considerando i dati in nostro possesso, possiamo provare a stabilire alcuni punti di riferimento.

In prima istanza terremo conto della coerente osservazione di Renfrew, secondo la quale non è scontato che una comunanza di cultura materiale implichi comunanza di lingua,

In questo modo si potranno evitare i riferimenti alla glottocronologia, i cui indicatori statistici restano controversi, e prendere in considerazione esclusivamente i dati più sicuri, cioè quelli che ci pervengono dall’analisi della protolingua (indizi linguistici) e quelli ottenuti dagli studi sulle componenti geniche d’Europa (indizi genetici).

Gli indizi linguistici rimangono gli stessi: vocaboli che fanno riferimento alla cultura materiale (lessico delle tecnologie) e parole che interessano flora e fauna (lessico dell’ambiente).

 Il lessico delle tecnologie, per quanto possibile ricostruire, ci conduce alle seguenti constatazioni:

1 – Gli Indoeuropei erano in possesso delle tecniche agricole e la pastorizia. Ciò è chiaramente indicato dalle radici di termini come *ékwos, “cavallo”, *gwous, “bue” o “mucca”, *òwis, “pecora”, *yugòm, “giogo”, *àrǝtrom, “aratro”, che confermano tradizioni agricole ben consolidate e fanno riferimento alla domesticazione del cavallo. Inoltre essi conoscevano la ruota, *kwèkwlos. Invece le lingue indoeuropee non presentano univoci termini per indicare i metalli tranne il rame. Pur essendo abbastanza diffusa, la radice alla base della parola latina aes, “rame”, “bronzo” non è presente in tutte le sottofamiglie dell’Indoeuropeo. Dobbiamo dedurne che gli Indoeuropei delle fasi più arcaiche dovevano avere assimilato da tempo la rivoluzione neolitica, ma non tutte le tecniche metallurgiche. E considerando che il termine per “rame” è meno diffusa delle parole relative all’agricoltura, sembra lecito ritenere che l’ultima fase unitaria faccia riferimento a un’epoca di transizione fra il tardo neolitico e la prima età del rame.

Da ciò si evince che la cultura materiale del protolessico indica per l’inizio della differenziazione un periodo compreso tra il 5.000 ed il 2.000 a.C.

2 – Anche valutando il patrimonio semantico secondo la massima elasticità possibile in riferimento al lessico dell’ambiente naturale, fauna e flora della Urheimat, il vocabolario del protoindoeuropeo nell’ultima fase unitaria è riferibile a un’area compresa fra il Reno e l’Ural, il Mar Baltico e il Mar Nero. Il limite nord occidentale è il Baltico, le coste della Germania e della Prussia secondo Schleicher. Quello sud orientale è rappresentato dalla regione uralo-pontica poco a nord del Caucaso secondo Maria Gimbutas. Non abbiamo riferimenti univoci ad animali come i leoni o tigri, mentre, al contrario, la radice per “leone” è comune a idiomi di area mediterranea. In modo simile mancano chiari e comuni riferimenti a piante domestiche come la vigna e l’ulivo, dal momento che le radici condivise da greco e latino sono retaggi pre Indoeuropei.

Da ciò risulta evidente che le ipotesi di una collocazione dell’Urheimat in India, per citare un caso, sono da considerare totalmente prive di fondamento.

È chiaro che questi dati non possono essere decisivi, se isolati. In linea di principio non sono utili a collocare con adeguata precisione gli Indoeuropei nello spazio sebbene porti a escludere il Mediterraneo, l’Asia centrale secondo l’ipotesi di Jain, e le zone a Sud del Caucaso.

3 – I risultati degli studi di Luca Cavalli Sforza indicano due marcatori genici importanti per la popolazione europea. Il primo di questi, V componente genetico, presente nel 28% della patrimonio dell’attuale popolazione, si è diffuso dal Medio Oriente con l’agricoltura, secondo le dinamiche del modello di reazione-diffusione. La datazione colloca questo momento a partire da 9000 anni fa.

Il secondo marcatore rilevato è successivo in quanto a diffusione. Si tratta della III componente, rilevata nell’11% del patrimonio genetico, la cui datazione risulta collocabile a partire 7000 anni fa in poi.

Sembra essersi diffuso a partire da una zona compresa fra le estremità sudorientali del altopiano centrale Russo, l’Ural e il Mar d’Azov.

Il dato genetico risulta altamente indicativo. Una popolazione che giunga ad imporre la propria lingua deve essere in possesso di una notevole coesione interna, perlomeno in un primo momento oltre ad una spinta espansiva presumibilmente derivata da una superiorità tecnologica o militare.

Il singolo concreto elemento che indichi una popolazione identificabile in maniera soddisfacente la quale in un certo momento si sia diffusa in Europa, ci è dato dal percorso della III componente genica europea, irradiatosi a partire dalla regione uralo-pontica in direzione dell’Europa occidentale e sud orientale, verso l’Iran e l’India. Ciò non corrisponde a quanto rilevato per le altre zone proposte come Urheimat. Da quanto detto, risulta quindi che l’ultima fase unitaria del protoindoeuropeo deve essere collocata nella regione Uralo-pontica, intorno a circa 7000 anni orsono, come spresso dall’ipotesi kurganica di Maria Gimbutas.

Questa teoria in realtà appare resistere anche nei confronti dei tentativi di confutarla prodotti dai sostenitori dell’ipotesi neolitica, dal momento che appare sostenibile nonostante le critiche di Renfrew relative alla paleontologia linguistica ed alla indipendenza del dato relativo alla comunanza di cultura materiale rispetto a quella linguistica.

L’unico forte argomento a discapito dell’ipotesi della lituana sembrerebbe pervenire dai sostenitori della teoria della continuità paleolitica, i quali fanno osservare che non esistono termini comuni per i rituali di sepoltura. Tale particolarità farebbe ritenere che gli Indoeuropei non abbiano posseduto rituali di sepoltura comuni e dunque sarebbero da identificarsi con i gruppi nomadici di Homo Sapiens apparsi in Europa 30.000 anni fa.

In realtà questa obiezione non regge per due ragioni. In primo luogo perché già per l’uomo di Neanderthal sono documentati rituali di sepoltura ben precisi come la sepoltura in posizione fetale con gli arti inferiori e superiori legati e questo discorso è valido anche per l’Homo Sapiens del tardo paleolitico.

Per rendere compatibile l’opinione di quanti propugnano la fondatezza della tesi di Alinei, in base all’analisi dei documenti in merito ai rituali di sepoltura, si dovrebbe retrodatare l’avvento del protoindoeuropeo al momento cronologico che riguarda l’Homo Sapiens Idaltu, sottospecie di Homo Sapiens rinvenuta in Etiopia e risalente a circa 190.000 anni fa. In più, i termini relativi ai rituali di sepoltura sono fra le componenti più deboli del protolessico, dal momento che fanno riferimento alla sfera religiosa e cultuale e ciò implica altresì che il lessico relativo rappresenti, tra le aree semantiche di una lingua, una delle più esposte nel tempo ad evoluzioni e sostituzioni di termini, dal momento che in relazione al linguaggio religioso entrano sempre in gioco fenomeni di sincretismo e di acculturazione. Questo è anche il motivo per cui le tombe dette kurgan risultano abbastanza diverse dalle tombe a tholos micenee così come dai riti indoiranici di cremazione, tutte manifestazioni che appaiono risentire di evoluzioni locali derivanti da interazioni di sostrato.

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[ Articolo pubblicato il 25/11/08 e scritto da “kommios” ]


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