Cronologia della Milano celtico-insubre.

Intorno al 390 a.C. i Galli Senoni di Brenno passano dirigendosi verso sud (ove sconfissero poi i romani sul fiume Allia, e saccheggiarono Roma, occupandola per sei mesi). La leggenda narra la “rifondazione” di Mediolanum (Milano) col nome di Alba, con lo sviluppo di un insediamento non più solo sacro, ma anche civile.

Nel 385 a.C. gli Insubri (i celti che avevano come loro capitale Milano) si alleano con Velletri, Tivoli e con Dionigi di Siracusa contro Roma.

Nel 225 a.C. una coalizione di Galli (Insubri, Boi, Taurisci e i Gesati transalpini) viene sconfitta a Talamone dai Romani guidati dal console Emilio Papo.

Polibio riporta che in occasione di questa guerra gli Insubri trassero le loro insegne, dette inamovibili, da un tempio dedicato alla loro dea (equiparata dai Romani a Minerva-Atena, ovvero la luminosa e bianca dea celtica Belisama). Secondo la tradizione milanese il tempio era ubicato sul luogo ove successivamente venne edificata la basilica di S. Tecla in piazza Duomo. Tuttavia la ricerca archeologica ha evidenziato la presenza di un fossato difensivo intorno a un edificio in via Moneta datato IV sec. a.C.: questo fa pensare ad un importante luogo sacro, rimasto fortificato fino alla seconda metà del II sec. a.C., che secondo alcuni sarebbe proprio il Tempio di Belisama.

Nel 223 a.C. vi fu dapprima una pace separata fra i Romani e i Galli Anari del Parmense, dopo di che il console Caio Flaminio attraversò il Parmigiano per portare guerra ai Celti Insubri fondatori di Milano. I Romani entrarono nel territorio degli Insubri presso la confluenza dell’Adda col Po, si allearono coi Cenomani e iniziano a devastare i villaggi della pianura. Gli Insubri scesero in campo con 50.000 uomini, ma, dopo una prima vittoria, vengono sconfitti al fiume Klousios dal console Flaminio.

Nel 222 a.C., in primavera, i Romani invadono nuovamente il territorio degli Insubri ed assediano Acherra, alla confluenza fra Adda e Serio. Gli insubri invadono il territorio degli Anari, sotto controllo romano, e assediano Casteggio, Clastidium, sulla riva del Po.

Il console Marcello riesce infine a sbaragliare l’armata celtica per poi riunirsi al collega Cornelio Scipione e riprendere l’assedio ad Acherra-Acerrae. Gli Insubri, coadiuvati dai Gesati della valle del Rodano guidati dal re Virdomaro (o Britomarto), si apprestano a respingere l’attacco romano. I consoli Gneo Cornelio Scipione e M. Claudio Marcello avanzano verso l’Adda e assediano Acerrae (Pizzighettone) per entrare nel territorio insubre. Eliminato con un’improvvisa diversione l’esercito dei Gesati (a seguito dell’uccisione del loro Re, in duello, da parte di Claudio Marcello, che consacrerà le terze spoglie opime al Tempio di Giove Feretrio, in Roma, dove la lapide dei fasti trionfali ne registrano il trionfo come avvenuto su galli insubri e germani (la più antica menzione di questo popolo), la guerra o si sposta a Milano, che viene occupata dai Romani – secondo alcuni storici guidati da Scipione, per la leggenda locale dal console Marcello. Per la prima volta i romani entrano a Milano.

Nel 218 a.C. dal territorio dei Galli vengono dedotte le colonie latine di Piacenza (Placentia ) e Cremona, con 6.000 coloni l’una.

L’arrivo dell’esercito di Annibale, che dopo aver attraversato le Alpi giunge nella pianura padana, spinge alla rivolta Boi e Insubri, che riescono così a liberarsi del dominio romano. Gli Insubri, insieme ad altri celti cisalpini, si arruolano nell’esercito di Annibale.

La battaglia del Lago Trasimeno del 21 giugno del 218 a.C. vide lo schieramento cartaginese, con gli alleati, i celti cisalpini, travolgere le legioni romane, che subirono una disastrosa sconfitta. L’evento emblematiche che segno il destino della battaglia fu l’uccisione del console Gaio Flaminio da parte di un nobile insubre, il cavaliere Ducarios, la cui vicenda, invero eroica (visto il gran numero di romani che difendeva il proprio console), è tramandata con una certa ricchezza di dettaglia da Tito Livio.

Ma appunto cinque anni dopo Flaminio incontrò la morte in battaglia per mano di un cavaliere insubre, Ducarios.

Tito Livio, Storia di Roma, Libro XXII, 6:
«Si combatté per quasi tre ore e dovunque ferocemente; tuttavia, la battaglia fu più violenta e minacciosa attorno al console (Gaio Flaminio).
Lo seguiva il fiore dei soldati, mentre egli stesso era attivo nel soccorrere i suoi in qualunque punto li scorgesse oppressi ed in grave disagio.
I nemici si scagliavano con grande violenza contro di lui, che si distingueva per l’armatura, mentre i suoi concittadini lo proteggevano, finché un cavaliere insubre, che si chiamava Ducario, riconoscendo il console anche dal volto, rivolto a quelli della sua gente urlò:
“Eccolo, è proprio costui che fece strage delle nostre legioni e saccheggiò i nostri campi e la nostra città! Io consacrerò questa vittima come un’offerta ai Mani dei concittadini indegnamente uccisi”.
Cacciati gli sproni nel ventre del cavallo, si gettò impetuosamente in mezzo alla foltissima schiera dei nemici ed abbattuto prima lo scudiero che si era lanciato incontro a lui che avanzava minaccioso, trafisse il console con l’asta; i triari, opponendo gli scudi, tennero lontano l’assalitore che bramava di spogliarne il corpo.
Cominciò allora la fuga di gran parte dell’esercito ed ormai né il lago né i monti si opponevano più allo sgomento; i Romani tentavano di fuggire come ciechi per ogni luogo su per dirupi e precipizi, mentre le armi e gli uomini precipitavano gli uni sugli altri
».

Molti altri, cui non si apre alcuna via di scampo, avanzano sui primi bassifondi paludosi, immergendosi in acqua fino a dove possono rimanere fuori con la testa o le spalle.
Ci furono alcuni che resi temerari dalla paura, cercarono la fuga a nuoto, ma poiché non avevano alcuna speranza di superare quella enorme distanza, venivano inghiottiti dai gorghi , quando mancavano le forze, oppure, stancatisi inutilmente, riguadagnavano con enorme fatica i bassifondi, e lì venivano uccisi dove capitava dai nemici entrati in acqua.

Cartaginesi e celto-liguri guidati dal fratello di Annibale si scontrarono non lontano da Milano con i romani guidati da P. Quintilio Varo e M. Cornelio Cetego, venendone sconfitto.

La seconda guerra punica si concluse nel 202 a Zama, nel retroterra tunisino, con la vittoria romana. Restava quindi da riconquistare la Cisalpina, refrattaria a ritornare sotto il dominio romano.

Nel 200 a.C. i Celti, tra cui gli Insubri, oltre a Boi e Liguri, guidati dal cartaginese Amilcare, che era rimasto in Cisalpina dalla seconda guerra punica, attaccarono Piacenza colonia romana distruggendola; la battaglia definitiva ebbe luogo a Cremona, con 35.000 Celti uccisi e catturati, dai romani guidati dal pretore L. Furio Purpurione.

Nel 197 a.C. Romani e Insubri, dopo che questi ultimi sono stati sconfitti sul terreno militare (con l’uccisione del generale cartaginese Amilcare che li guidava), sottoscrivono un foedus aequum , col quale la capitale insubre rimane autonoma, ma perde il predominio sui Celti della Padania e s’impegna a fornire aiuti militari.
Molti centri che avevano seguito gli Insubri si arresero ai Romani. Il trionfo del console C. Cornelio Cetego comprendeva, oltre agli Insubri e ai Cenomani prigionieri, anche un corteo di coloni cremonesi e piacentini liberati.

Nel 196 a.C. il console M. Claudio Marcello, figlio del vincitore di Clastidium, Casteggio, portò l’attacco in territorio insubre, dirigendosi verso Como, dove gli Insubri avevano posto il loro quartier generale. Como, già dopo pochi giorni, si arrese ai Romani con 28 castella.

Nel 194 a.C. gli irriducibili Boi incitarono alla ribellione gli Insubri, ma nel 195 a.C. furono battuti vicino a Mediolanum dal proconsole Lucio Valerio Flacco. Fu la fine della confederazione celtica: gli Insubri e i Cenomani abbandonano i Boi e strinsero un foedus con Roma, che permise loro di mantenere una certa autonomia.

Nel 191 a.C. vengono definiti nuovi accordi, ricordati in un’orazione di Cicerone ( Pro Balbo 14, 32), nei quali è presente la clausola che gli Insubri non potranno ricevere la cittadinanza romana per non turbare l’ordine sociale celtico. Le Storie di Polibio: nel libro II si trova la descrizione entusiastica delle condizioni economiche di Milano e dell’Insubria. A Milano vi sono grandiosi edifici nell’area intorno al Cordusio, di probabile uso pubblico.

L’area insubre non subì alcuna perdita di territorio e venne accuratamente evitata dalla rete viaria romana. Nessuna strada romana l’attraversava: la via Postumia, creata nel 148 a.C. per scopi militari, che univa Genova ad Aquileia, rimase ai margini del territorio insubre. E la stessa conservazione del tipo di popolamento preromano, sparso, per vicos (villaggi), esclude un intervento teso a modificare le strutture territoriali.
Gli Insubri s’impegnarono a fornire contingenti di cavalleria all’esercito romano (auxilia Gallica), rinunciando però ad accampare diritti sulla cittadinanza romana.

La Transpadania subì un lento processo di romanizzazione, che non si affermò nel modo violento con qui si sviluppò nelle Marche, contro i Senoni, e in Emilia, contro i Boi, ma fu piuttosto “una lenta penetrazione pacifica di modelli culturali ed economici che modificò sostanzialmente la società indigena” (Tolfo).

La moneta corrente era costituita dalle emissioni monetarie celtiche, che imitavano la dracma marsigliese, con scritte in leponzio.

Scrive Ermanno Arslan:
Gli Insubri, anche se non trattati come i Boi, devono accettare che tutti i popoli dominati a nord (Comensi, Orumbovii) e ad ovest (Libici, Salluvii, Laevi, Marici, Vertamocori ecc.: alcuni giunti nel IV secolo,altri di tradizione più antica) accedano all’indipendenza, con autonomi foedera stipulati con Roma. Nascono così numerosi ‘stati satellite’ corrispondenti forse alle colonie fittizie dell’89 a.C.
Il territorio insubre è ora molto ridotto, esteso a nord forse poco sopra l’attuale Monza, tra Ticino ed Adda (od Oglio) senza giungere a sud al Po,dove sono perduti i territori destinati a Cremona (se non erano Cenomani). Pure questa antica popolazione, certo disarmata (si spiega l’assenza di corredi con armi per gran parte di questa fase) si rivelerà elemento trainante culturalmente ed economicamente nella Transpadania.
Gli altri gruppi mantennero il diritto di portare le armi, segno di formale autonomia politica e militare, con un preciso riscontro nei corredi funerari, nei quali il guerriero ha sempre la panoplia (Garlasco presso Pavia). La lettura delle fonti rivela in questa fase una certa insicurezza da parte dei romani. Il tracciato della via Postumia aggira a sud l’Insubria,indicando forse rispetto del popolo federato ma anche,e forse più credibilmente, diffidenza.
La nuova via strategica passa per quanto possibile su territorio romano. Si è lontani da ogni ipotesi di integrazione. (Solo) … nell’81 la Transpadana diviene provincia, sede quindi di forze armate, con possibilità di intervento di Roma, cosa che avviene con Cesare
” (da I Celti, Milano, 1991, pagg. 485-486, Ermanno Arslan, I Transpadani).

[ Articolo pubblicato il 13/07/06 e scritto da “Myrddin-Merlino” ]

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