La fondazione (mitica) di Medhelan(ion) e la storia della Milano celtica

La fondazione mitologica di Medhelan-Mediolanion (o Mediolanion secondo V.Kruta) può collocarsi attorno al 600-590 a.C.Mediolanium, (Milano), è la forma latinizzata del celtico continentale antico Medhelanion o Medhelan, ossia “santuario”.

La notizia è riportata sotto forma di mito da Tito Livio, Storia di Roma dalla fondazione, V, 33-35, che fornisce come termine di raffronto cronologico il regno di Tarquinio Prisco (616-579 a.C.) e la fondazione di Marsiglia da parte dei coloni focesi (600 a.C. ca.). Il leggendario fondatore è Belloveso, della tribù dei Biturigi, nipote del grande re transalpino Ambigato.

Secondo una antica tradizione milanese, Belloveso vide un animale sacro, una scrofa semilanuta, animale sacro alla Dea celtica Belisama (ancora oggi presente in via Mercanti, con un antichissimo bassorilievo successivamente incorporato nel Palazzo della Ragione del 1200), e da questa apparizione, da questo segno degli Dei, venne indotto a fondare il centro sacro di Medhelan.

La tradizione è riportata da Isidoro di Siviglia (ISIDORI HISPALENSIS EPISCOPI ETYMOLOGIARUM SIVE ORIGINUM LIBER XV):

(57) I Galli che erano afflitti da lotte intestine e continue controversie, andarono in cerca di nuovi luoghi ove insediarsi a seguito di profezie in Italia, trovando gli insediamenti coln l’espulsione degli Etruschi, fondando Mediolanum e altre città. Milano ricevette questo nome perchè venne lì rinvenuta una scrofa semilanuta.

Questa citazione è parte di una tradizione medioevale, riportata da vari autori e qui presentata nella versione di Isidoro di Siviglia (560 – 636), la quale tramanda che una “scrofa semilanuta”, probabilmente un cinghiale, avrebbe segnalato a Belloveso il sito dove doveva sorgere Milano: un rilievo con la scrofa semilanuta è visibile in uno dei pilastri del Palazzo della Ragione (il Broletto). Naturalmente la leggenda si fonda sulla somiglianza del toponimo con le parole per (scrofa) semilanuta: (sus) medio lanea.

Vi è un’altra leggenda, che è alimentata dal fascino che i celti suscitano, e sulla cui attendibilità storica è inutile pronunciarsi, ma che può essere piacevole leggere.

Il tutto inizia con la marcia di Belloveso, proveniente dalla Francia, che giunge in quella che viene definita “Gallia Cisalpina” nei dintorni del Seveso. Il Seveso viene indicato come piccolo fiume che attraversa una zona degli Insubres, stirpe affine alla gente di Belloveso. Secondo il calendario celtico era il giorno del capodanno celtico (il “giorno di Samhain”) e, riporto come c’è scritto ” in quell’istante Antares, la stella più brillante della costellazione dello Scorpione, sorgeva insieme al sole.”.

Non si sa a cosa fosse dovuta la sosta, forse ad un fatto straordinario, ma in ogni caso Belloveso ed i suoi si fermarono presso il fiume quando all’improvviso scoppiò un furioso temporale con grandi fulimini e tuoni che così raccontato mi ricorda certi temporali davvero terrificanti che ho visto solo qui in pianura padana. Ma, tornando al racconto, tra fulmini e tuoni cade anche una violenta folgore che scaricò tutta la sua potenza nel bosco provocando un’incendio così devastante che la pioggia non riuscì a salvare le piante dal rogo dal quale, il giorno seguente, risultarono salve solo due grosse querce che benchè quasi distrutte si ergevano ritte in mezzo ai tizzoni ancora ardenti e la cenere.

Il sole illuminando le due piante ne tracciò sul terreno l’ombra tanto che sembrava tracciasse in realtà un percorso. Così doveva apparire ai Celti che probabilmente ritennero tale fatto un dono degli dei e considerando quella somma di segni come di buon auspicio spianarono il terreno arso e lo ripulirono dai resti dei tronchi carbonizzati recintandolo. Tale area venne considerata sacra, un santuario all’aperto, e fu chiamata Medhelanon (luogo centro di perfezione) . Lo stesso nome fu dato al villaggio che nacque appena poco distante dopodichè nell’area bruciata rinacquero arbusti, piante, erbe e fiori (La Leggenda è tratta da “Il Mondo dei Celti nelle leggende Milanesi” di Giorgio Fumagalli. Saggio inedito.).

I Galli stavano cercando un posto dove stanziarsi (all’epoca la pianura padana era un’enorme paluce, intervallata da folte foreste) e avrebbero considerato sacrilega l’idea di distruggere gli alberi della foresta che per i Celti è sacra. Il fatto che gli Dei avessero provveduto a procurare loro un spiazzo attraverso l’incendio evitò loro di compiere un sacrilegio e quindi venne considerato un dono degli Dei stessi che posero fine al loro errabondare, secondo un modo di pensare peraltro comune ai diversi popoli di origine indoeuropea dell’epoca.

[ Articolo pubblicato il 25/02/06 e scritto daMyrddin-Merlino ]

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